Il report

La strategia del panico. Mosca punta ai civili e colpisce lontano dai suoi obiettivi tattici

Amnesty svela la brutalità dell'offensiva russa contro Kharkiv

Micol Flammini

Non c’è pace per chi rimane sotto il Cremlino: il terrore e l’assenza dei confini della guerra sono una delle armi che la Russia utilizza contro la popolazione ucraina, per rompere quell’unità e quella fermezza che Kyiv ha dimostrato per oltre cento giorni

Roma. La Russia continua a colpire tutto il territorio dell’Ucraina. La maggior parte dei suoi uomini e del suo arsenale è concentrato nella regione orientale del Donbas, in parte è dislocato anche nella parte meridionale, lungo quell’ambizioso corridoio che arriva fino alla Crimea in cui Mosca ha fatto grandi conquiste ma in cui gli ucraini stanno contrattaccando con qualche successo. Gli attacchi russi però continuano in modo indiscriminato contro tutto il paese,  anche dove non ci sono obiettivi militari, anche dove Mosca è troppo lontana per conquistare territorio, e non seguono alcuna strategia puntuale e utile all’avanzata se non quella di far sentire gli ucraini insicuri ovunque e di far crescere il panico tra la popolazione. 

 

Lo scorso fine settimana, un attacco missilistico ha colpito la città di Chortkiv, nella regione di Ternopil, nell’Ucraina occidentale. L’attacco era inaspettato e il presidente Volodymyr Zelensky, nel parlarne durante uno dei suoi discorsi serali, ha detto: “Non c’era alcun senso tattico o strategico in questo attacco, come nella stragrande maggioranza degli altri attacchi russi. E’ terrore, solo terrore”. I missili hanno ferito ventitré persone, inclusa una ragazzina di dodici anni che era fuggita a Ternopil insieme alla famiglia in seguito all’invasione. La regione occidentale è ritenuta più sicura di altre e Mosca vuole distruggere questo senso di sicurezza. Dal 24 febbraio la Russia ha lanciato contro Kyiv quasi tremila missili e molti hanno colpito obiettivi civili con l’unico intento di far male alla popolazione e non di avanzare sul territorio o di riportare conquiste importanti in guerra. 

 

La ong Amnesty international ha pubblicato un rapporto importante che riguarda l’offensiva russa contro la città di Kharkiv, la seconda più grande e più popolosa dell’Ucraina, si trova a est e nonostante l’esercito di Kyiv sia riuscito a liberarla, è ancora soggetta agli attacchi russi. In questi mesi di guerra, le forze russe hanno lanciato bombardamenti indiscriminati contro la città e i civili, hanno devastato case e palazzi che non avevano a che fare nulla con l’esercito, e per farlo hanno utilizzato anche bombe a grappolo, che sono vietate dalla Convenzione dell’Onu firmata nel 2008 da più di cento paesi ma non dalla Russia. A Kharkiv sono morti più di sessanta civili e nei giorni in cui gli attacchi erano più intensi, prima che le truppe russe si ritirassero, l’ansia era che non ci fosse un posto in cui sentirsi sicuri, che chiunque sarebbe potuto morire in qualunque luogo. Anche in un rifugio. E la stessa ansia perdura  anche in questi giorni, in cui i missili di Mosca continuano a cadere per impedire che l’Ucraina possa vivere in una sua normalità. 

 

La strategia del panico e  l’assenza dei confini della guerra sono una delle armi che la Russia utilizza contro la popolazione ucraina, per rompere quell’unità e quella fermezza che Kyiv ha dimostrato per oltre cento giorni. La risposta degli ucraini è costruire una nuova normalità, una quotidianità in cui non ci si senta mai al sicuro, ma in cui si tenta  di ricostruire, di vivere anche se ancora si combatte. Neppure Kyiv si sente mai tranquilla, due settimane fa è stata colpita ancora una volta da missili e le ferite della guerra vengono fuori in continuazione: ieri le autorità della regione hanno scoperto un’altra fosse comune vicino alla capitale in cui erano sepolti sette civili con addosso segni di torture, tutti giustiziati con un proiettile in testa. 

 

Il primo obiettivo della guerra russa è la popolazione ucraina, sono i civili. Chi è rimasto nei territori controllati da Mosca, come la regione di Kherson, continua a subire violenze di ogni genere, non sono più  bombardamenti, ma per gli ucraini, sotto la Russia, non c’è normalità a meno che non si decida di collaborare, come ha fatto ieri il sindaco di Sviatohirsk, Vladimir Bandura, che si è consegnato ai filorussi di Fonetsk ed è stato nominato “amministratore cittadino”. Per questo ipotizzare di cedere alla Russia i territori conquistati nel nome di un accordo di pace non è un’opzione da prendere in considerazione: vorrebbe dire negare ogni diritto a chi non è riuscito a fuggire dagli occupanti. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)