il reportage dall'ucraina

Vivere nel limbo di Odessa. La tranquillità di una città in guerra

Adriano Sofri

Ci si fa beffe del dramma: si va a cena fuori nonostante gli allarmi, si mangiano le cozze pescate nonostante le mine. Soprattutto riapre il teatro. Ricordando tutti gli altri distrutti e diventati luoghi di stragi

Odessa, dal nostro inviato. L’altra sera guardavo in rete un programma italiano, e un inviato da Odessa – uno dei più stimabili – ha avvertito per due volte: “Sentite le sirene dell’allarme antiaereo”, “qui si vive così”. Gli spettatori italiani si saranno figurati, con qualche ansia, che a Odessa si stia sotto gli attacchi dei missili, o nel loro terrore. Com’è dimostrato, può accadere, se non altro perché è già accaduto, fin dal primo giorno dell’invasione, e più volte poi – facendo 8 morti civili il 13 aprile. Ma ho dovuto aprire la finestra e tendere l’orecchio per sentire la sirena, e le persone in strada – non era ancora il coprifuoco – non se ne davano per inteso. Tre o quattro notti prima, fra le 4 e le 4 e mezza, avevo sentito una sequenza di tiri, raffiche di mitraglia e qualche rombo di mortaio: nessun allarme. All’indomani non una delle persone che ho interpellato aveva sentito niente: dormivano, beati loro. “Forse erano colpi dell’antiaerea, per intercettare droni, lo fanno spesso”. Penso anche che forse spari e sirene servano a tenere all’erta la popolazione, che non si abitui troppo all’estate e alla sua dolce vita. Se vedeste che vasto, curato e rigoglioso roseto è tutta Odessa.

 

 

La verità è che la città è vivace e, specialmente in centro e nei parchi e fra i giovani, allegra, e così va raccontata – fino a prova contraria. Allegro e fitto era il lungomare del fine settimana, e frequentate le trattorie – le cozze vanno forte come a Taranto vecchia. Non so ancora come possa funzionare la piccola pesca sottocosta, dove spiagge e fondo sono minati. Per un lungo tratto di costa, mi hanno spiegato, le mine sono superflue perché i frangiflutti sotto l’acqua impedirebbero comunque alle imbarcazioni di stazza di sbarcare senza andare in pezzi. Poi, dopo i Neptune e il colpo grosso della Moskva, ora la difesa costiera conta sui missili antinave Harpoon di fornitura britannica che si garantiscono particolarmente precisi e capaci di eludere le contromisure.

 

 

Rispetto alle città e ai paesi ucraini bestialmente battuti fino a stramazzare, edifici e umani, Odessa sta in un suo limbo. Resta la preda più ambita per il paranoico emulo di Pietro il Grande. Espugnarla, varrebbe a togliere all’Ucraina l’accesso al mare – ad asfissiarla. Di più, nessun’altra città è così simbolicamente decisiva. Così scorre la vita normale di Odessa, anzi un po’ più eccitata del normale – il coprifuoco proibisce l’alcol, ma c’è un’effervescenza che non ne ha bisogno. Domenica pomeriggio mi sono iscritto a una visita guidata al Teatro nazionale, che riapriva per l’occasione per la prima volta. Affascinante incursione, nella magnifica platea vuota, sul proscenio e sul palco, nel golfo mistico, e fin nelle viscere dell’edificio, nelle sue travature e argani e stantuffi dall’aria marittima – fabbricati infatti a Mykolaïv, alcuni – nei magazzini di scena, nel sistema idraulico sotterraneo e dell’aerazione, che ha permesso ai rifugiati di avere un ricambio d’aria. Camerini vuoti, il vero padrone del sotterraneo, un Efesto nella sua fucina, Arkadiy, l’anziano capo dei fabbri e dei macchinisti, ci ha aperto l’appartamento che si è ricavato in un cunicolo, la branda ornata da un copriletto con la Torre Eiffel. La vera notizia è che il Teatro di Odessa riapre, come il suo omologo di Kyiv: con un Gala dell’Opera il 17, uno del Balletto il 19, e un calendario di opere, a cominciare dal “Nabucco” nei giorni successivi. Un teatro che riapre si porta addosso il pensiero dei teatri che sono stati distrutti, di quel Teatro Drama di Mariupol, il Teatro Nazionale del Donetsk, dentro il quale sono stati uccisi e trasportati via con le macerie in centinaia, bambini donne uomini. Quel teatro, il nostro ministero si era offerto di ricostruirlo. Bisognerà ricordarselo, e aspettare. Intanto i vecchi nuovi padroni, quelli che ci sono passati sopra, gli avranno adato un nuovo nome. Ždanov l’hanno già impegnato. Ma la lista è lunga. 

 


 

Foto di Adriano Sofri da Odessa 

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