Offensiva in Donbas
La diretta è finita e la "Fog of war" è calata sul Donbas: non è una buona notizia
I report dell'intelligence pubblicati sulla stampa e le dirette Instagram dal campo ci hanno illuso di essere spettatori onniscienti del conflitto, quella fase è finita
Il concetto di fog of war, “nebbia della guerra”, ce lo siamo scordato perché l’invasione russa in Ucraina è iniziata dopo mesi di report dei servizi segreti pubblicati sulla stampa, è proseguita con gli aggiornamenti quotidiani dell’intelligence britannica in formato thread su Twitter e con i filmati dal campo girati con gli smartphone o con i droni. Tutto questo ha contribuito all’impressione generale di poter seguire gli eventi in tempo reale ed essere uno spettatore onnisciente del conflitto. La diretta è finita.
Nella prima fase della guerra c’erano i video e le foto scattate dai civili, le riprese delle telecamere a circuito chiuso che mostrano il momento in cui un missile russo impatta un palazzo di un quartiere residenziale a Kyiv o quello dell’amministrazione regionale nel centro di Kharkiv. Persino nei giorni più violenti dei bombardamenti su Mariupol a marzo, quando gli unici giornalisti di una testata internazionale (Associated Press) presenti erano gli ucraini Mstyslav Chernov e Evgeniy Maloletka, i video e le foto del reparto maternità devastato ci sono arrivati il giorno stesso. Chernov e Maloletka avevano superato il problema della mancanza di elettricità perché prima un medico e poi un poliziotto avevano offerto il loro generatore di emergenza, per mandare i file dividevano i video in più parti – erano troppo pesanti per inviarli in una volta sola – poi uscivano dal bunker e andavano al settimo piano di un palazzo dove c’era ancora un po’ di connessione. Quando i russi sono entrati in città, c’erano le dirette di Cossack Gundi (centododicimila follower su Instagram). Cosacco Gundi è il nome di battaglia di Aiden Aslin, un cittadino inglese che – prima della guerra – si è innamorato di una ragazza ucraina, si è trasferito lì e si è arruolato nell'esercito, ha combattuto a Mariupol e, dopo essere stato catturato, è stato condannato a morte da un tribunale dei separatisti. A Severodonetsk, la città industriale della provincia di Luhansk che oggi è l’epicentro dell’offensiva nel Donbas e quindi della guerra, non si vede nulla di tutto questo.
Nelle ultime quattro settimane è stato molto difficile avere certezze su quale porzione di città occupassero i russi, quanti soldati ci fossero da una parte e dall’altra, quante perdite e quanti civili intrappolati – e non ci sono arrivate immagini. La mancanza di informazioni o la possibilità di conoscerle sono il modo parziale e frammentato, la fog of war, si è riaffacciata e ha due spiegazioni. La prima è che a Severodonetsk si combatte strada per strada ed è in corso una carneficina di soldati da entrambe le parti (Zelensky ha detto che sarà ricordata come una delle battaglie più brutali nelle storia militare recente): i soldati sul campo non hanno tempo di raccontare online cosa succede e non hanno più il morale adatto per farlo. Per i giornalisti entrare in città è troppo pericoloso, e non ci sono le foto scattate con lo smartphone dai civili (a Mariupol ce n’erano ancora almeno centomila, a Severodonetsk poche migliaia, forse alcune centinaia).
La seconda ragione è che la guerra è cambiata e gli ucraini non hanno motivo di condividere con il resto del mondo tutte le informazioni dal campo. Non è strano: la fog of war sarebbe la prassi in ogni guerra, ma questa volta l’abitudine a conoscere gli eventi minuto per minuto aveva creato un’illusione e un’aspettativa. La curva dell’attenzione dell’opinione pubblica internazionale si è abbassata per stanchezza, ma incide anche che le notizie e le immagini che ci arrivano siano meno: il flusso si è interrotto e la situazione sul campo è meno chiara. Il New York Times ha dedicato un episodio del suo podcast quotidiano al tema, l’ospite è Julian E. Barnes che, per il giornale, segue le agenzie di spionaggio. Barnes dice che questa guerra è di un tipo nuovo e non c’è un precedente con cui poter fare paragoni: in Iraq gli americani condividevano le informazioni con l’esercito locale alleato e pretendevano di conoscere in anticipo ogni sua mossa, in Ucraina i soldati americani non ci sono, passano informazioni d’intelligence ma non possono pretendere che Kyiv faccia altrettanto. Barnes dice: comunicano solo se lo considerano strategico, è normale che sia così perché, sul campo, sono soli. È normale, ma è una pessima notizia.