La vendetta del tycoon

Mentre l'inchiesta sul 6 gennaio va avanti i trumpiani continuano a prendere voti

Giulio Silvano

Nelle primarie che continuano a tenersi in giro per il paese l'equazione è semplice: se sei repubblicano puoi essere eletto solo non accusando Trump e, contestualmente, ritenendo rubate le elezioni presidenziali

Mentre a Washington sono in corso le udienze per gli attacchi del 6 gennaio, continuano a tenersi in giro per il paese le primarie repubblicane, diventate ormai un terreno di scontro diretto tra trumpiani e anti trumpiani. Martedì i possibili candidati al Congresso si sono sfidati in Nevada, in South Carolina, in North Dakota e nel Maine. Se la scorsa settimana i “traditori”, che avevano votato per la creazione di una Commissione bipartisan che investigasse sugli attacchi al Congresso, erano riusciti a vincere contro i candidati più populisti, in South Carolina il primo repubblicano anti Trump ha perso la possibilità di tornare alla Camera, dopo dieci anni a Capitol Hill. 


Tom Rice aveva votato per l’impeachment nel gennaio 2021, era stato uno degli unici dieci membri del Gop alla Camera a farlo, e non aveva mai smesso di criticare la figura dell’ex presidente; lui e la sua famiglia avevano anche ricevuto diverse minacce. La sua sconfitta di martedì mostra quali sono i rischi quando si va a gamba tesa contro Trump e i suoi fan. “Sta facendo una vera e propria epurazione”, ha detto Rice la scorsa settimana, “Sta cercando di trasformare il partito repubblicano in un mucchio di leali yes man”. La nomination l’ha vinta Russell Fry, un candidato millennial che ha basato tutta la sua campagna elettorale sulla fedeltà a Trump e sul fatto che Rice avesse votato per l’impeachment. La prima cosa che si vede sul sito di Fry è una foto con l’ex presidente e la scritta: “Endorsed by Donald Trump”, sostenuto da Donald Trump. In un altro distretto del South Carolina è riuscita a scamparla invece Nancy Mace, che seppur critica del populismo arancione, non aveva votato per l’impeachment e si era riavvicinata ad alcuni trumpiani locali negli ultimi mesi, abbassando i toni delle critiche. 


La lista di persone licenziate da Trump nei suoi anni alla Casa Bianca è lunghissima, un record. Solo nel primo anno aveva raddoppiato la percentuale di licenziamenti all’interno del gabinetto di qualsiasi altro presidente. Alcuni hanno avuto il posto solo per poche settimane. Dopotutto parte della sua fama si deve al reality “The Apprentice” dove urlava in ogni puntata: “You’re fired!”. Qui però è come se il suo potere di eliminare le persone dall’arena politica fosse passato all’elettorato, come se la punizione per l’infedeltà verso un individuo arrivasse dalla massa e non più dal diretto interessato. Come se un nemico personale diventasse un antagonista della base.


Anche in Nevada la nomination per il posto di senatore è andata a un trumpiano, Adam Laxalt, che nel suo stato aveva presieduto la campagna presidenziale contro Biden, e che ha sempre sostenuto: le elezioni del 2020 sono state un furto. Il New York Times ha fatto i conti: 72 repubblicani che hanno contestato la vittoria di Biden sono rimasti al loro posto e, con le primarie in corso, si contano centinaia di trumpiani che si dovranno scontrare a novembre con i democratici alle elezioni di metà mandato. La figura di Trump riesce ancora a trainare voti, la battaglia per de-trumpizzare il partito repubblicano non sembra semplice, e diventa un termometro in vista del 2024. L’idea del magnate newyorkese che le elezioni del 2020 siano state rubate da un lato sembra sempre meno far presa su alcuni ex fedeli – lo abbiamo visto alle udienze con Ivanka e Jared Kushner, che si sono fatti più moderati – dall’altra sembra ormai diventata una convinzione di una parte della base elettorale, la base che ha votato per Fry e per Laxalt.


Nel film “Nixon” di Oliver Stone a un certo punto quando Nixon-Anthony Hopkins perde le elezioni contro Kennedy dice: “Hanno rubato”, e i membri del suo team gli rispondono: “Nessuno nella storia degli Stati Uniti ha mai messo in dubbio i risultati elettorali, sicuro di voler essere il primo?”. Trump non si è fatto questo problema, a differenza di Nixon. Aveva addirittura iniziato a dire che i democratici avrebbero rubato le elezioni quando era ancora presidente. Più volte in giro per il paese aveva gridato: “L’unico modo in cui ci potranno portare via la vittoria è con delle elezioni truccate”. E’ stato questo l’atteggiamento che ha scatenato la folla a Washington, quel 6 gennaio, che col tempo ha costruito sfiducia per le istituzioni e per il sistema democratico. A prescindere dagli ex pezzi grossi interrogati alle udienze del Congresso, bisogna vedere quanti elettori ne sono convinti.

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