(foto di Ansa)

Propaganda e realtà

Putin dice di aver vinto la guerra delle sanzioni. I suoi tecnici non ne sono convinti 

Luciano Capone

Al forum di San Pietroburgo il presidente russo ribalta la realtà e parla di un'economia russa "ormai stabilizzata". I suoi collaboratori invece parlano di "dieci anni" per tornare ai livelli del 2019

Anche quando parla di economia il suo tono è messianico-apocalittico: messianico per la Russia, destinata al successo e alla salvezza per la sua capacità di resistere alle sanzioni (“come i nostri antenati, siamo in grado di affrontare qualsiasi sfida”); apocalittico per l’occidente, il cui dominio sul mondo è destinato  a tramontare (“le élite occidentali si aggrappano ostinatamente alle ombre del passato”). La sintesi del tanto atteso discorso di Vladimir Putin al Forum economico internazionale di San Pietroburgo è che “la guerra lampo” contro la Russia è fallita, l’economia è ormai stabilizzata, il mondo unipolare è al capolinea e l’occidente sta crollando per le “folli sanzioni” inflitte alla Russia. Propaganda.

 

“Il calcolo era chiaro: schiacciare l’economia russa spezzando le catene commerciali, ritirando con la forza le aziende occidentali dal mercato russo e congelando i beni nazionali, per colpire l’industria, la finanza e il tenore di vita della popolazione. Non ha funzionato”, dice Putin. Il popolo russo si è unito e ha resistito all’aggressione occidentale e ora l’economia è stabilizzata, “le fosche previsioni sulle prospettive dell’economia russa non si sono avverate”, e ora l’arma a doppio taglio delle sanzioni “infligge danni comparabili, se non maggiori, agli ideologi e ai progettisti stessi”.

 

Tutto l’intervento di Putin, che ripropone la sua visione storica e politica del mondo partendo dalle questioni economiche, è un ribaltamento della realtà. Ascoltandolo sembra che l’occidente abbia immotivatamente aggredito la Russia e non che le sanzioni siano una reazione all’ingiustificata invasione dell’Ucraina. Allo stesso modo, Putin dice che l’occidente ha minato concetti fondamentali come “l’integrità della proprietà privata e la fiducia nelle valute globali” solo per imporre “illusioni geopolitiche obsolete”. Ribalta, cioè, la realtà che ha visto la Russia violare il diritto internazionale e la fiducia reciproca invadendo una nazione in nome di un imperialismo etno-nazionalista che più obsoleto non si può.

 

Analogamente, ha accusato l’occidente di voler “cancellare” tutto ciò che è russo nello sport, nella cultura e nell’arte. Proprio mentre la sua operazione tenta di cancellare l’Ucraina dalle carte geografiche, mentre si distruggono monumenti, si cambiano nomi e si cancellano identità attraverso i carri armati. Accusa l’occidente di essere all’origine della crisi alimentare perché ha “letteralmente iniziato a fare incetta, ad accaparrarsi i mercati globali”, quando è evidente che il sempre più concreto rischio di carestia è il prodotto della sua guerra e del blocco dell’export di grano ucraino. Sostiene che le sanzioni contro la Russia produrranno “la perdita di competitività a livello globale e un declino sistemico del tasso di crescita dell’economia europea” e anche  “un aumento della diseguaglianza che dividerà ancora di più le loro società”. Con tutta evidenza la realtà è l’esatto contrario, come mostrano i dati sulla diseguaglianza in Russia molto più elevata che in Europa e le proiezioni di decrescita del pil e del pil potenziale di un paese che sarà costretto a disintegrarsi dalle economie più ricche e avanzate.

 

Si tratta, peraltro, di una situazione di cui è ben consapevole la classe dirigente russa. Poco prima dell’intervento di Putin, Herman Gref, il ceo di Sberbank, la principale banca russa, ha detto che “il ritorno dell’economia al livello del 2021 può richiedere dieci anni” (nel 2030, quindi). Prima di Gref, che è stato a lungo ministro dell’Economia di Putin all’inizio del suo regno, la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina aveva dichiarato  che “il deterioramento delle condizioni economiche esterne durerà a lungo, se non per sempre” e pertanto l’economia russa necessita di una trasformazione strutturale per l’eccessiva dipendenza dall’export di gas e petrolio. Serve una “perestrojka” economica, ha detto Nabiullina citando il fallito tentativo di Gorbaciov di riformare il sistema sovietico a metà anni 80, anche se “tutti sono preoccupati che questa perestrojka strutturale, in condizioni in cui perdiamo l’accesso alle consuete fonti di tecnologia, porterà davvero a un arretramento”. In mezzo a fiumi di propaganda, al Forum di San Pietroburgo ha fatto capolino la realtà. 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali