il reportage dall'ucraina
A Odessa c'è il gala di riapertura del teatro dell'opera, le bombe non fanno paura
Nella città ucraina la vita continua a scorrere tranquilla, nei limiti del possibile. I cittadini sono contenti della visita dei quattro presidenti a Kyiv. E sanno che l'Europa è con loro
Odessa, dal nostro inviato. Odessa, venerdì. Avrò il pomeriggio impegnato, è il giorno del Gala di riapertura del Teatro dell’Opera. Ci andrò abbigliato alla buona, ma ho preso un posto di seconda fila. Ho dormito poco ed esco prestissimo la mattina – il coprifuoco smette già alle 5. In giro si notano di più i mendicanti e i clochard, magari perché gli altri sono più rari. Più tardi mi attira la vista, abituale anche in qualunque nostra città, di quelli – e quelle, forse le donne sono maggioranza – che rovistano nei cassonetti e nei bidoni della spazzatura. Solo che sono tanti, specialmente nel quartiere del grande mercato all’ingrosso, e si succedono a breve distanza negli stessi cassonetti, e i nuovi arrivati tirano comunque fuori qualcosa dal cassonetto già frugato. E’ come se fra loro ci fosse una gerarchia di bisogni e di adattamenti. Davanti al mio albergo, rarefatto come tutti gli alberghi salvi alcuni giornalisti stranieri, c’è un vivace e rinomato mercato da movida, caffè, chioschi vari, panchine, grandi alberi e passerotti che si prendono delle confidenze.
E banchi di libri. A metà giornata ho chiesto all’anziano libraio che ne teneva in custodia due affiancati quanti libri avesse venduto. Solo uno, un libro per ragazzi. Tempi magri. Ero andato in cerca delle librerie vere e proprie, in centro, e le avevo trovate chiuse, tranne la Britanskaya-kniga, che però ha solo libri in inglese. In compenso una giovane coppia cui avevo chiesto indicazioni circa le librerie ha preso a cuore la cosa, come succede qui di frequente, e mi ha accompagnato in giro, seguendo scrupolosamente – lui – gli itinerari sul telefono. Mi imbarazzava che perdessero tanto tempo con me, ma mi hanno spiegato che erano a spasso, non avevano da fare. Lei è una maestra, e gli rimprovera la mania di cercare tutto sul telefono, si sa dove dobbiamo andare. Lui, bella faccia, bella barba fulva non allarmante, è militare sul fronte di Kherson, è in permesso. Per quanti giorni? Cinque, forse dieci, dipende da quello che succede, possono richiamarmi in ogni momento. Nessuno può sapere come vanno le cose al fronte, dice, cambiano ogni giorno. Sono contenti che i quattro presidenti siano venuti in visita a Kyiv. L’Europa è con noi, dice lui, che forse vuol farmi piacere. Noi siamo con l’Europa, dice ferma lei. L’Europa, dice, è più cara a noi: si vuole più bene a quello che si desidera che a quello che si ha. I giovani ucraini, dice, sono voltati da quella parte. Lui diventa più confidente quando gli dico che sono andato a Mykolaïv: è nel suo circondario che sta servendo, i suoi compagni sono lì. Gli racconto che ho trovato la città singolarmente tranquilla.
Al rientro trovo che l’inviato italiano mio vicino di stanza, che è più bravo di me, mi ha inoltrato due brevi video di giornata. Uno mostra l’affondamento di un rimorchiatore russo che trasportava uomini, armi e munizioni all’Isola dei Serpenti, colpito e affondato da due missili antinave Harpoon, benché fosse dotato del sistema antiaereo Tor.
Il secondo video mostra un bombardamento di missili russi sul pieno centro di Mykolaïv, avvenuto mentre ero in giro con la coppia gentile. Ha colpito degli alti edifici residenziali, ucciso almeno un abitante, feriti altri fra cui un bambino. Routine, certo. Ma questo video è interessante, guardatelo, non vi sarà difficile trovarlo in rete – dura un minuto e un secondo. Non per il fungo dell’esplosione, che è in effetti enorme e scenografico. Ma per la sequenza. Si vede nitidamente il missile piombare sul bersaglio, il doppio tuono, e poi il silenzio, attraversato dal volo di uccelli disorientati, poi da un volo nero in primo piano, e poi da un guaire e abbaiare di cani forse spaventati, forse solo di protesta – di rimprovero. Cani veri, che abbaiano davvero.