(foto di Ansa) 

L'Inno alla gioia a Tbilisi è un segnale per il futuro dell'Ue

David Carretta

La manifestazione pro europea in Georgia mostra che l'appartenenza all'Ue è (di nuovo) garanzia di stabilità 

Bruxelles. Quando 120 mila persone scendono in strada per dire che la “prospettiva europea” non è sufficiente e che vogliono lo status di paese di candidato all’adesione, l’Unione europea forse farebbe bene ad ascoltare e a scoprire quanto forte è la sua influenza e il suo potere di attrazione. E’ accaduto a Tbilisi lunedì, dopo che la Commissione di Ursula von der Leyen ha raccomandato di concedere lo status di candidato solo a Ucraina e Moldavia, mentre alla Georgia sono state poste alcune condizioni prima di entrare nell’anticamera dell’Ue. La decisione sarà presa dai capi di stato e di governo nel Consiglio europeo di domani e venerdì. Nessuno si aspetta una svolta sulla Georgia. Ma venerdì a Tbilisi ci sarà un’altra manifestazione. 

 
A fare troppo i puntigliosi, i leader dell’Ue rischiano di ripetere lo stesso errore fatto con l’Ucraina dal 2004 in poi.

 
La manifestazione pro Europa lunedì davanti al Parlamento di Tbilisi è stata impressionante per numeri e intensità. Grazie alle immagini dei droni, l’Afp ha calcolato che c’erano 120 mila persone con bandiere georgiane, ucraine, dell’Ue e della Nato (qualcuna anche degli Stati Uniti), mentre suonava l’Inno alla gioia di Beethoven, cioè l’inno europeo. Il messaggio su centinaia di cartelli: “We are Europe”.

 

La “marcia per l’Europa” è stata lanciata da diverse organizzazioni pro europee e da tutti i partiti di opposizione. C’era una componente di politica interna nella piazza di Tbilisi, che chiede l’ingresso in Europa, vuole proteggersi da Vladimir Putin e, al contempo, contesta il primo ministro, Irakli Garibashvili. Il suo partito Sogno georgiano, fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, è spesso accusato di fare il gioco della Russia. Ivanishvili ha stretti rapporti con oligarchi russi legati al Cremlino. La coppia Ivanishvili-Garibashvili ha condotto una guerra politica e giudiziaria all’ex presidente filoccidentale, Mihkail Saakashvili, eroe della Rivoluzione delle rose del 2003 e della resistenza all’aggressione russa del 2008. Rientrato da un esilio di otto anni alla fine del 2021, Saakashvili oggi è incarcerato nel centro penitenziario numero 12 di Rustavi. L’estrema polarizzazione della politica in Georgia è uno dei fattori che hanno spinto la Commissione a rifiutare lo status di candidato. “Abbiamo bisogno della cooperazione di tutti i partiti politici” nel processo di integrazione europea, ha ricordato venerdì il commissario all’Allargamento, Olivér Várhelyi. Nel suo parere la Commissione ha espresso molti dubbi sulla candidatura della Georgia.

  

Prima di ottenere lo status di candidato, Tbilisi dovrà rispettare diverse condizioni: lotta alla corruzione e al crimine organizzato, riforma della giustizia, de-oligarchizzazione, rispetto dei diritti fondamentali (con Sogno georgiano c’è stato un netto arretramento sullo stato di diritto). Alcuni stati membri dell’Ue accusano la Georgia di voler salire sul carro europeo dell’Ucraina colpita dalla guerra. Il governo Garibashvili ha dimostrato un certo opportunismo sull’aggressione di Putin. Ha condannato la Russia, ma non ha introdotto sanzioni dirette, consentendo alle banche georgiane di essere usate come piattaforma finanziaria per aggirare le sanzioni dell’Ue. L’europeismo e l’atlantismo di Garibashvili, che ieri ha ribadito che la Georgia resta impegnata per l’adesione alla Nato, sembra dettato più dalla necessità di contenere il sogno europeo dei georgiani che dalla volontà di Sogno georgiano di incamminarsi seriamente verso l’Ue.

  
Formalmente, dunque, la Commissione ha ragione: la politica in Georgia è caotica e piena di contraddizioni (come lo è in quasi tutte le giovani aspiranti democrazie e perfino in quelle antiche e consolidate). Ma anche gli europei hanno le loro responsabilità, come nel caso dell’Ucraina. Dopo la Rivoluzione delle rose del 2003 e la Rivoluzione arancione del 2004, le aspirazioni atlantiste sono state soffocate al summit della Nato di Bucarest del 2008, quando Francia e Germania rifiutarono ai due paesi il piano di azione per l’adesione all’Alleanza. Le aspirazioni europee sono state sopite nella partnership orientale, il progetto per integrare economicamente questi paesi, ma tenendoli a distanza dall’Ue. Il fatto è che il processo di allargamento, con i suoi capitoli da negoziare, impone ai candidati riforme democratiche, liberali e di economia di mercato.

 

L’ancoraggio all’Ue rende gli scossoni politici meno violenti e i deragliamenti meno probabili. Le leadership europee non volevano provocare o irritare Putin. Ma Putin non è stato dissuaso dall’imporre la sua sfera di influenza con la corruzione e la forza. E le passioni europee di ucraini, georgiani e moldavi si sono dimostrate più forti. In piazza Maidan nel 2014. Sul campo di battaglia dal 24 febbraio. Davanti al Parlamento di Tbilisi lunedì. Lo status di candidato non è solo un incoraggiamento a resistere a Putin, ma è il modo più efficace per promuovere democrazia, libertà e prosperità.

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