Il price cap e gli attendisti
L'Ue arriva al Consiglio impreparata alla Lehman del gas
La Germania accusa la Russia di usare il metano come arma, ma i leader europei non si applicano su una strategia comune per le forniture
Bruxelles. Il ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, oggi ha accusato la Russia di aver lanciato un “attacco economico” usando il taglio delle forniture di gas “come un’arma contro la Germania”, annunciando la decisione di passare alla fase due del piano d’emergenza per far fronte a una crisi energetica. La più grande economia dell’Unione europea rischia di dover imporre il razionamento per le imprese e per le famiglie previsto dalla fase tre del piano d’emergenza. “Non posso escluderlo”, ha detto Habeck. L’invito per ora è a limitare al massimo il consumo perché “d’ora in poi il gas è una materia prima scarsa”.
In ogni caso, i tedeschi devono prepararsi a ulteriori aumenti dei prezzi “che avranno un effetto sulla produzione industriale e peseranno sui consumatori”, ha spiegato Habeck. Dieci giorni fa Gazprom ha ridotto del 60 per cento le sue forniture attraverso il gasdotto Nord Stream e ha rifiutato di aumentare i flussi attraverso altri gasdotti. Un altro gasdotto russo, TurkStream, è stato chiuso per manutenzione. Oltre alla Germania, anche Italia, Austria, Slovacchia, Francia e Grecia hanno subìto riduzioni delle forniture. Dal 14 giugno il prezzo del gas all’ingrosso è passato da 85 euro a 135 euro megawattora. “A un certo punto l’intero mercato corre il pericolo di collassare”, ha detto Habeck, avvertendo che c’è il rischio di “un effetto Lehman nel sistema dell’energia”.
Il paragone con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008, che aveva dato avvio alla grande crisi finanziaria globale, non è casuale. Come 14 anni fa il pericolo è che l’Ue e i suoi stati membri sottovalutino la gravità della minaccia e, di conseguenza, limitino la loro risposta collettiva. Nello stesso momento in cui Habeck annunciava le nuove misure d’emergenza, i capi di stato e di governo oggi erano riuniti a Bruxelles per un Consiglio europeo. E’ un vertice storico, che ha deciso la concessione dello status di candidato all’Ucraina in guerra (e alla Moldavia). Ma, se non fosse stato per l’insistenza di Mario Draghi e pochi altri, i leader europei avrebbero fatto volentieri a meno di discutere della guerra del gas che Vladimir Putin ha lanciato contro di loro. Su insistenza dell’Italia, la bozza di conclusioni denuncia “l’uso del gas come arma da parte della Russia”. Draghi ha chiesto la convocazione di un vertice straordinario sull’energia. Uno degli obiettivi è che la Commissione proponga un price cap sul gas importato dalla Russia, che funzionerebbe come sanzione contro il Cremlino per la guerra contro l'Ucraina. Ma altri leader sono più attendisti.
Il price cap è una scommessa. L’Ue decide il prezzo a cui comprare il gas russo, riducendo le entrate per il Cremlino e le bollette degli europei. E’ un modo per anticipare le mosse di Putin, che si troverebbe di fronte a una scelta: accettare il prezzo dell’Ue e incassare di meno oppure chiudere il rubinetto e non incassare nulla. Se la Commissione facesse una proposta nell’ambito delle sanzioni, in caso di accordo degli stati membri, il price cap potrebbe essere attuato immediatamente. La proposta di Draghi ha il sostegno di Francia, Belgio e paesi dell’est. Ma Germania e Paesi Bassi frenano. C’è “grande cautela di alcuni leader”, secondo i quali “i mercati sono già perturbati e un tetto sui prezzi peggiorerà la situazione”, spiega una fonte dell’Ue. L’Ue si trova così sulla difensiva nella guerra del gas. Come ai tempi di Lehman, diversi leader europei pensano che lo scenario peggiore non li travolgerà anche se non faranno nulla. Finora l’emergenza è gestita come ordinaria amministrazione.
La Commissione ha presentato il piano RepowerEu per accelerare sulle rinnovabili, ma ci vorranno anni. Oggi è stato firmato un memorandum di intesa per aumentare le forniture dalla Norvegia, ma gli acquisti comuni faticano a decollare. I piani di emergenza sono stati lasciati ai singoli governi. La Germania ha riattivato le centrali a carbone. I Paesi Bassi hanno tolto i limiti all’uso del carbone. Ma i grandi tabù rimangono: dal prolungamento del nucleare in Germania all’istituzione di un fondo di debito dell’Ue per affrontare la crisi energetica. Più si aspetta più farà male.