Putin gioca all'impiccato con Lukashenka

Micol Flammini

La Bielorussia in guerra è un'arma contro Kyiv, ma pure contro l’Ue. Il presidente russo vuole trascinare il dittatore di Minsk in guerra con una partecipazione sempre più attiva. Il bielorusso temporeggia, ma il capo del Cremlino sa metterlo con le spalle al muro, lentamente. 

Il presidente russo, Vladimir Putin, sta giocando all’impiccato con il dittatore bielorusso, Aljaksandr Lukashenka: un po’ alla volta lo sta portando a essere sempre più coinvolto nel conflitto contro l’Ucraina. Nel territorio bielorusso rimangono circa settecento soldati russi, ma se finora Lukashenka si è limitato a cedere la sua nazione a Mosca perché ne disponesse a suo piacimento, ora  un coinvolgimento maggiore da parte del dittatore consentirebbe da una parte di distrarre le forze ucraine e richiamarle massicciamente in difesa del fronte settentrionale, dall’altra di minacciare le linee di rifornimento tra i paesi europei e Kyiv. Tra maggio e giugno c’è stato un aumento delle attività militari lungo il confine tra Bielorussia e Ucraina, dove Mosca ha schierato missili Iskander, Pantsir e S-400, e Lukashenka ha deciso di creare un comando meridionale.   Il dittatore di Minsk ha anche deciso di  incrementare le sue Forze armate da 65.000 a 80.000 unità e in diversi discorsi pubblici ha fatto presente che  potrebbero trovarsi a dover combattere “per l’Ucraina occidentale”. La Bielorussia è tanto isolata quanto la Russia, Lukashenka  ha deciso di mettersi al servizio di Putin per rimanere al potere. All’inizio della settimana, il giornale bielorusso Nasha Niva ha raccontato  che il dittatore vorrebbe smettere di pagare il gas in rubli – anche a Minsk  c’è il rublo, ma è quello bielorusso – perché  il cambio non è conveniente e se Putin gli accorderà questo strappo, imporrà un costo alto. 

 

L’unità dei paesi occidentali, che hanno deciso di fare fronte comune contro Mosca, mette il Cremlino nella posizione di cercare alleati altrettanto uniti e Lukashenka ha due vantaggi: ha molti debiti nei confronti di Putin e si trova in una posizione ottimale non soltanto per attaccare l’Ucraina ma anche per creare problemi all’Unione europea. In questi giorni, il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev, ha minacciato ritorsioni contro la Lituania, il paese baltico che ha fatto entrare in vigore le sanzioni sul transito di acciaio e altri metalli verso il territorio russo di Kaliningrad.  Il 18 giugno  un elicottero russo ha violato lo spazio aereo dell’Estonia, un’altra nazione molto attiva nel sostenere l’Ucraina, e il ministro della Difesa estone ha detto che in queste settimane la Russia sta facendo prove per attacchi missilistici contro il territorio di Tallinn. Ci sono paesi europei che iniziano a sentirsi parte del fronte e questi paesi sono i baltici e la Polonia, una Bielorussia belligerante servirebbe a farli sentire ancora più minacciati: estenderebbe il fronte.  Non che Lukashenka condivida la guerra di Putin o abbia davvero degli interessi, ma ormai, per rimanere al potere, si è messo nella condizione di acconsentire a ogni richiesta del capo del Cremlino, nonostante i bielorussi rimangano molto contrari alla guerra e siano tra gli stranieri più presenti in Ucraina a combattere dalla parte delle truppe di Kyiv. In diverse occasioni, il dittatore di Minsk si è dimostrato titubante di fronte alle richieste di Putin – ha anche ammesso che la guerra si è protratta più di quanto pensasse – ma subito dopo correggeva il tiro e lui e i suoi uomini erano costretti a fare affermazioni in linea con quelle russe. E’ un gioco lento, quello del presidente russo, che ha bisogno della Bielorussia sia per riaprire un altro fronte contro Kyiv – circa la metà dei 2.600 missili lanciati contro l’Ucraina proveniva dalle regioni bielorusse – sia per aumentare il senso di pericolo degli europei. La Russia ha posto le basi per la guerra che le è più facile combattere, quella di logoramento, che ha un nodo fondamentale: la stanchezza. Non soltanto la stanchezza degli ucraini, ma anche quella dei loro alleati, il loro disinteresse, il calcolo  dei pro e dei contro: anche a questo serve un coinvolgimento maggiore di Minsk. 

 

Ieri nella regione russa di Rostov, due  droni, secondo i testimoni provenienti dall’Ucraina, hanno  colpito una raffineria di petrolio con una capacità annua di 7,5 milioni di tonnellate. A Mosca serve  una guerra con più alleati, ma al momento si ritrova partner  titubanti e poco convinti. Molti, come i leader dei paesi dell’Asia centrale, hanno cominciato ad allontanarsi dal Cremlino. Altri, come la Cina o l’India non condannano la guerra, aiutano economicamente, ma di combattere non ne vogliono sapere. E’ rimasto Lukashenka tra le mani di Putin. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)