(foto di Shaah Shahidh su Unsplash) 

scappatoie

La Russia riorienta l'export di petrolio in Asia, ma a prezzi scontati

Federico Bosco

Mosca vende circa metà del suo greggio sul mercato asiatico, Cina e India in testa, ma è costretta a fare sconti anche del 30 per cento

Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina i governi che vogliono sanzionare la Russia e i mercati che osservano sono alle prese con una domanda: quanto vale un barile di petrolio russo? La risposta è “meno degli altri”. Anche prima della guerra il greggio russo Ural veniva venduto a prezzi più bassi rispetto al Brent, ma quel divario continua ad allagarsi segnalando che la Russia – uno dei primi tre produttori mondiali – non può beneficiare appieno del rally sui mercati. Tra metà aprile e metà maggio l’Ural è stato quotato intorno ai 73 dollari al barile, un 32 per cento in meno rispetto al Brent che equivale a uno sconto di almeno 35 dollari al barile, in aumento. Uno studio di Petromarket citato dall’agenzia stampa statale russa Tass ha rilevato che tra il 13 e il 17 giugno lo sconto è arrivato a 39,7 dollari,  1,4 dollari in più rispetto al livello della settimana precedente: mentre le quotazioni del Brent scendevano, lo sconto del petrolio russo aumentava.

 

Ciò è dovuto alla reazione dei mercati di fronte all’ondata di inflazione e al peggioramento delle prospettive di crescita globale. In questi giorni infatti il Brent è sceso attorno ai 110 dollari al barile e il Wti attorno ai 105 dollari. Per la Russia è un problema enorme. Gli sconti superiori al 30 per cento hanno aiutato Mosca a continuare a esportare nonostante le sanzioni, e a fare grandi profitti nonostante una riduzione dei volumi. L’impennata dei prezzi degli ultimi 12 mesi ha tenuto il valore dei barili intorno ai 112 dollari, ma se il prezzo dovesse diminuire la riduzione del margine metterebbe a rischio un settore già destinato a restringersi. Il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato che quest’anno la produzione petrolifera potrebbe diminuire del 17 per cento.

 

Il nuovo mercato russo è a Oriente. All’inizio del 2022 due terzi del greggio russo venivano esportati in Europa, ora Gazprom Neft prevede che circa la metà andrà in Asia. In questi mesi la Russia è diventata il primo fornitore di petrolio della Cina, superando l’Arabia Saudita. Ma il paese potenzialmente in grado di ridurre davvero l’effetto delle sanzioni è l’India, che vuole restare neutrale, intensificare le relazioni con i paesi occidentali e al contempo fare affari con i russi. Secondo il Wall Street Journal i dirigenti delle società petrolifere indiane sono state incoraggiati dal governo a sfruttare l’opportunità di fare scorte acquistando petrolio russo a prezzi scontati. Il governo indiano smentisce, ma i fatti parlano chiaro: l’India ha aumentato le importazioni di petrolio russo di oltre 25 volte dall’inizio della guerra, gli analisti di Kpler hanno rilevato una media di 1 milione di barili al giorno rispetto ai 30 mila di febbraio, una dato che ora è pari a oltre un quarto delle importazioni europee di prodotti petroliferi russi.

 

Secondo Reuters gli indiani stanno anche fornendo la certificazione di sicurezza per dozzine di navi gestite da una sussidiaria dell’armatore russo Sovcomflot per consentire le esportazioni in India (e altrove), dopo che le società occidentali hanno negato i loro servizi a causa delle sanzioni. Inoltre, si sospetta che alcune aziende indiane stiano rivendendo prodotti raffinati russi sui mercati europei con operazioni poco trasparenti. Non si tratta di cose mai viste, Delhi è abituata a godere di un via libera occidentale per offrire una valvola di sfogo a paesi sanzionati. La politica che sta adottando con il petrolio russo è simile a quella riservata al greggio iraniano, che può commerciare nonostante le sanzioni grazie a un’esenzione concessa dagli Stati Uniti. Stavolta però la questione è ben diversa, il consigliere per l’energia dell’amministrazione Biden ha dato un segnale esortando l’India a non esagerare nel “trarre profitto dalla guerra in Ucraina”.

 

Le sanzioni hanno reso il petrolio russo un “prodotto proibito“, attrattivo solo se venduto a prezzi pesantemente scontati, compromettono un settore fondamentale per le finanze di Mosca soprattutto se i prezzi internazionali iniziano a scendere. Quando Mario Draghi dice che “il tempo ha rivelato che le sanzioni sono sempre più efficaci” si riferisce  a questo tipo di conseguenze, che nel tempo diventano strutturali.

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