La sentenza sull'aborto della Corte suprema americana spiegata dalle divisioni tra i giudici conservatori

Stefano Pistolini

Smantellata la storica decisione Roe vs Wade del 1973 che garantiva alle donne la possibilità di abortire. Il dissenso tra John Roberts e Samuel Alito racconta la trasformazione della destra americana e dei giudici supremi

Capire la Corte Suprema è un procedimento necessario, prima di avanzare altre considerazioni. Gli Stati Uniti assumono decisioni e attuano verifiche sostanziali, destinate a toccare la vita di tutti i cittadini, affidandosi al consesso che più che ogni altro somiglia all’idea mitica dei “grandi saggi”, che occupano poltrone destinate a durare per sempre, fino alla morte o al volontario ritiro, dopo essere stati scelti dai presidenti in carica al momento della chiamata. Il tutto soggiacente alla tradizione, da parte dei titolari della Casa Bianca, di eleggere a questa carica delle personalità aderenti sia ai loro principi politici sia alla loro visione dell’America, dell’etica, della vita e delle libertà, concesse e negate. E proprio parlando di vita la Corte Suprema è stata chiamata a esprimere una scelta cruciale: cancellare o no il diritto costituzionale all’aborto, a partire dalla discussione di un caso che contesta la legge del Mississippi che vieta la procedura dopo le 15 settimane di gravidanza, così facendo smantellando la storica decisione Roe vs Wade del 1973 che garantisce alle donne la possibilità di abortire.

 

L’orientamento intellettuale della Corte Suprema nella sua attuale configurazione, non lasciava dubbi: l’ala conservatrice detiene la schiacciate maggioranza dell’organismo con sei membri contro tre, a seguito della triplice nomina operata da Donald Trump (Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Barrett) che ha sbilanciato l’equilibrio della Corte, tanto più dopo la dipartita di Ruth Bader Ginsburg, la più progressista tra i suoi membri, oltre che decisa sostenitrice del diritto all’aborto. Dunque, in questo caso specifico quella che va analizzata non è la contrapposizione frontale tra due visioni della questione e più in generale dei diritti dei cittadini, quanto la diversità di punti di vista e di priorità all’interno della stessa supermaggioranza conservatrice, da cui derivano opinioni inattese e decisioni non del tutto rispondenti al dettato della destra antiabortista

 
Lo scenario è in particolare incarnato da due figure-chiave, protagoniste della vicenda: il presidente della Corte Suprema John G. Roberts, 67 anni, nominato da George W. Bush, e il giudice cui Roberts ha affidato l’approfondimento del caso in questione, il suo amico Samuel Alito, 72 anni, anch’egli entrato alla Corte Suprema per volontà di Bush, nel 2006. Dunque due dirette espressioni del movimento legale conservatore, che a lungo hanno marciato a braccetto in una Corte assai diversa da quella attuale. Inizialmente, infatti, gli orientamenti di voto dei due togati erano pressoché identici e per una decina d’anni Roberts ha premiato Alito con incarichi di prestigio, considerandolo il collega su cui fare affidamento per esprimere opinioni utili a mantenere coeso l’orientamento conservatore della Corte. Eppure la diversità tra le due figure è sempre stata evidente: Roberts è un uomo prudente, riflessivo, accurato nei posizionamenti ed estremamente rispettoso dell’incarico che riveste, nella sua natura più intensa e meno personalistica. Alito ha una personalità più passionale, sofferta e in un certo senso mesta. Chi lo conosce ne parla come di un giudice meno incline alla pazienza e alle strategie, motivato piuttosto dalla volontà d’indirizzare i pronunciamenti della Corte verso posizioni irrevocabilmente conservatrici, tanto più ora che sono peggiorate le condizioni di salute del giudice Clarence Thomas, con l’eventuale conseguenza, in caso di defezione, della nomina da parte di Joe Biden di un giudice di orientamento progressista, modificando di nuovo il balance e la produzione dell’organismo.

 

E’ peraltro probabile che se Roberts avesse occupato lo scranno di giudice semplice della Corte Suprema, i suoi atteggiamenti e le sue espressioni pubbliche non si sarebbero discostate da un sereno conservatorismo d’area illuminata, ma privo di tentennamenti, mentre la nomina a presidente lo ha spinto verso atteggiamenti più speculativi, incentrati su una consapevolezza di responsabilità legata al ruolo di amministratore finale delle visioni espresse dalla Corte, nonché di garante dell'indipendenza e dell'autorità dell’istituzione. 

 

Il procedimento di conferma alla carica di Alito nel 2006, contrariamente a quanto accaduto a Roberts – che fu promosso trionfalmente – è stato travagliato e costellato di feroci attacchi che provocarono, per esempio, la celebre crisi di pianto nella sua consorte Martha-Ann, a latere della commissione in cui il marito fu con veemenza accusato di bigottismo. Lo stesso Alito negli anni seguenti non si è risparmiato prese di posizione clamorose, in particolare in aperta polemica col presidente Barack Obama e alcuni suoi commenti sul proprio operato, arrivando a disertare ripetutamente il discorso sullo Stato dell’Unione e suscitando unanime perplessità. 

 

Oggi le differenze tra Roberts e Alito si sono ritrovate al bivio tra conciliazione e aperta opposizione: lo sradicamento di Roe v Wade segna il culmine di decenni di pressioni dell’antiabortismo americano e infatti il presidente della Corte si è fermato un passo prima, schierandosi con la minoranza liberal sul ribaltamento, secondo il suo approccio incrementale – ovvero di correzione solo parziale della legge. Nella sua opinion, il presidente della Corte sostiene la legge del Mississipi che vieta l’interruzione di gravidanza come gli altri giudici conservatori, ma non avrebbe fatto il passo successivo di ribaltare i precedenti come invece ha voluto la maggioranza della Corte. Roberts è anche per via del suo ruolo un feroce difensore della Corte e della sua reputazione, convinto che essa vada in sofferenza allorché il pubblico ne percepisca le decisioni come un riflesso del background politico dei suoi componenti.

 

Se nella campagna del 2016, Trump affermava d’essere favorevole al ribaltamento di Roe v. Wade dicendosi sicuro che “questo accadrà automaticamente” grazie ai giudici che avrebbe nominato, Roberts incarna la visione etica stile vecchia-America, mai prona agli slanci propagandistici e disposta a scelte in contrasto con le personali convinzioni pur di preservare l’intangibilità istituzionale dell’organismo di cui è a capo. Su questioni di discriminazione razziale, armi e religione, le sue opinioni si collocano ben al centro della corrente di pensiero legale conservatore. Ma al tempo stesso Roberts si considera il primo garante della legittimità della Corte. E ciò per lui va oltre il posizionamento ideologico. 

 

Lo scisma tra Roberts e Alito è dunque la spia non solo della possibile divisione della Corte Suprema, ma anche di un’eventuale, ulteriore discrasia tra istituzioni e politica – tema sempre più all’ordine del giorno nell’America del dopo 6 gennaio 2021.

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