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Il “ribaltamento” della Roe vs Wade non è un golpe: l'America è cambiata
Nonostante i cinquant'anni dall'introduzione della garanzia costituzionale, l’aborto rimane il grande scandalo morale del paese. Ma sbaglia chi vuole leggere lo stralcio come un "golpe di Trump"
Overturned, ribaltata. E’ la parola usata da tutti i media americani per sintetizzare la sentenza della Corte suprema redatta dal giudice Samuel Alito e votata 5 a 4 che ha stabilito che non esiste un diritto costituzionale all’aborto – il diritto della donna nel decidere a riguardo della sua vita personale, dunque tutelato a un livello federale inaccessibile alle decisioni degli stati – come aveva affermato la sentenza Roe vs. Wade del 1973. Cinquant’anni dopo, “ribaltando” il suo antico parere, la Corte ha deciso che la materia debba tornare in capo agli stati, di cui 13 hanno già pronta una legge per vietare l’interruzione di gravidanza e altri potrebbero seguire. Non proprio la metà dell’America, ma un numero non trascurabile. Il paese diviso, sull’orlo della guerra civile, si dice. Sulle armi (la sentenza pro Secondo emendamento è dell’altro ieri), su Trump, sulle tasse, sulle razze.
Ma di certo l’aborto – questa ipostatizzazione di tutte le culture war sui diritti civili, umani, religiosi – torna a essere il più divisivo dei temi. Sconfitta dei pro choice, vittoria dei pro life. E’ persino banale leggerla così. Ragioni e princìpi contro princìpi e ragioni resteranno sempre. Anche l’accusa in automatico al “golpe” di Trump nella nomina dei giudici è fuorviante. Se nel 1973 furono sette i giudici, maggioranza repubblicana, a favore di Roe vs Wade e ora la situazione è cambiata, bisogna riflettere sul fatto che è cambiata l’America. Un paese in cui ancora a metà degli anni 90 i pro choice erano il 55 per cento e i pro life il 40, ma nel 2011 fu rilevato addirittura un (modesto) sorpasso. Eppure è il paese in cui in tre anni gli aborti sono passati da 862 mila a 930 mila, quasi una su cinque gravidanze, un tasso triplo dell’Italia, e nonostante le leggi restrittive. Un paese sempre più divaricato sulla concezione della vita e dei diritti. Un paese che ha cambiato idea, si può dire? Anche tenendo conto che la sentenza, in un paese federale, non abolisce in assoluto la possibilità di abortire.
Un altro aspetto importante. I sostenitori della Roe vs Wade – tra i primi Barack Obama che ha twittato “oggi la Corte Suprema ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi”, credono che la Costituzione debba evolvere con la società: “Living Constitution”, si dice. Paradossalmente la sentenza di Alito, che pure riafferma il principio “originalista” secondo cui nella Costituzione il diritto all’aborto non è contemplato, applica però proprio il principio di una “Costituzione vivente”, cioè registra il cambiamento di posizioni. L’America non smette di interrogarsi sul quesito, che i giudici oppositori della sentenza del 1973 posero, di “chi valesse di più tra le madri incinte e la vita di chi non sarebbe mai nato”. La domanda continua a essere stridente, non solo in America.
Anni fa il Foglio lanciò la proposta di una moratoria internazionale sull’aborto dicendo semplicemente che il re era nudo: nonostante i decenni di assuefazione culturale, l’aborto è destinato a rimanere il grande scandalo morale del nostro tempo. Comunque la si pensi, è impossibile negare che Roe vs Wade implichi “qualcosa o qualcuno che sta al di fuori del perimetro della privacy”, come ha scritto Giuliano Ferrara. In un occidente in cui i figli non si fanno, anzi il concetto stesso di maternità (e paternità) è messo in discussione, l’aborto diventa il tema di una terza guerra mondiale culturale.