Il terrore è strategia di guerra e Mosca rivendica l'attacco ai civili a Kremenchuk

Micol Flammini

I russi diventano neljudi, non persone, e cercano di portare gli ucraini alla resa e di convincere i leader della Nato riuniti a Madrid che stare con Kyiv è una perdita di senso e risorse 

All’inizio della guerra i soldati russi che invadevano, devastavano, uccidevano, venivano chiamati “orchi”. Gli abitanti di Kherson, la prima città a essere occupata da Mosca, sono stati costretti a chiedere scusa davanti alle telecamere ai cittadini russi per aver osato offendere  i loro soldati e nei video ammettevano di aver capito il loro errore dopo aver trascorso un periodo in  corsi di rieducazione. In questa fase della guerra, c’è un altro termine con cui gli ucraini, anche e soprattutto i russofoni dell’est che Mosca dice di voler liberare, parlano dei soldati russi: non persone, neljudi
Dopo l’attacco contro i civili a Kremenchuk, nella regione di Poltava, non c’erano altre parole per definire i russi colpevoli di aver preso di mira un centro commerciale con circa mille persone dentro e neljudi era la parola più usata di fronte a una  brutalità che neppure la guerra giustifica. Il ministero della Difesa russo ha rivendicato l’attacco.  La versione russa è  che un missile ad alta precisione ha colpito un deposito di armi inviate dagli Stati Uniti e dall’Europa e il bombardamento ha poi provocato un incendio che si è propagato nel vicino centro commerciale che, secondo Mosca, era chiuso, quindi vuoto. Lunedì, mentre arrivavano le immagini della devastazione a Kremenchuk, i russi avevano subito definito l’attacco una Bucha 2.0, un modo per dire che si trattato di una messa in scena orchestrata dagli ucraini per incolpare Mosca. E finora il Cremlino aveva tenuto lo stesso atteggiamento, erano stati anche alti funzionari russi a dire che Bucha era Hollywood, ma con l’attacco a Kremenchuk ha cambiato versione e detto: siamo stati noi. 

 

Non è stato il primo bombardamento  indiscriminato contro un posto pieno di  civili, un edificio senza valore strategico o militare. Era già successo a Mariupol, dove la Russia ha preso di mira il Teatro drammatico con la scritta deti, bambini, l’unico posto in città in cui si potevano trovare corrente elettrica, acqua potabile e provviste e in cui erano rifugiati molti civili durante l’assedio. Era già successo a Kramatorsk, nel Donbas, contro la stazione che ospitava i cittadini che cercavano di fuggire dalla regione orientale: vicino alla stazione  venne trovato un missile Tochka con sopra la scritta za detej, per i bambini, e i russi dissero che il loro esercito non aveva in dotazione quel tipo di arma e che quindi la responsabilità era chiaramente di Kyiv. La bugia era doppia: i russi usano i Tochka e l’attacco era contro i civili. Finora Mosca aveva scaricato la responsabilità, aveva mentito sulle colpe degli ucraini, ora ha cambiato strategia: non mente sull’accaduto, ma mente sul perché. In primo luogo i missili russi, non uno ma due Kh-22, hanno colpito il centro commerciale, non una struttura vicina. Secondo: il centro commerciale era aperto e anche molto frequentato. Che gli attacchi di Mosca siano con precisione diretti contro i cittadini ucraini o che colpiscano a caso senza interessarsi dove cadranno i suoi missili il risultato è lo stesso: fa una guerra del terrore. 

 

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto che il bombardamento a Kremenchuk è stato deliberato e si tratta di “uno degli atti terroristici più audaci della storia europea… Una città tranquilla, un centro commerciale come ce ne sono tanti con donne, bambini, civili. Questo non è stato un attacco sbagliato. Era un bombardamento russo ben pianificato”. Mentre in occidente i leader delle democrazie del mondo stanno mostrando, dopo una battuta d’arresto, di essere determinati ad aiutare Kyiv, Mosca cerca di distruggere il territorio e il morale dell’Ucraina. Durante il vertice Nato di Madrid, che si chiuderà il 30 giugno, la Russia potrebbe aumentare la brutalità dei suoi attacchi per far capire che Mosca è pronta a tutto, vuole vincere la guerra e chi si ostina a stare con Kyiv perde tempo e risorse. Zelensky ha chiesto ai leader del G7 di aiutarlo a far finire la guerra entro l’inverno, e il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ieri gli ha risposto che se il presidente ucraino vuole, la guerra può farla finire anche subito, basta che chieda “alle sue unità nazionaliste di deporre le armi”. Peskov ha aggiunto che la Russia continua a lavorare ai suoi piani su come rafforzare i confini occidentali e per fermare “l’avanzamento” della Nato  “che va avanti da due decenni e sta continuando”, e ha concluso dicendo che Mosca non ha pensato a quando far finire “l’operazione speciale”. Queste parole sono state pronunciate il giorno dopo l’attacco al centro commerciale di Kremenchuk, il giorno dopo un attacco sui civili che pone la comunità internazionale di nuovo di fronte alla domanda: la Russia in guerra si sta comportando come uno stato sponsor di terrorismo?  

 

Il terrorismo serve a creare instabilità, a far sentire gli ucraini insicuri ovunque, a far credere che la guerra non potranno mai vincerla, perché Mosca colpirà come vuole e dove vuole e contro chiunque. Gli ucraini sanno che stanno combattendo contro non persone, neljudi, e per questo chiedono: non andiamo oltre l’inverno. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)