un altro watergate
Che succede a Trump dopo le rivelazioni sull'assalto al Campidoglio?
L'ex presidente potrebbe andare incontro a un'incriminazione per sedizione o incitamento alla violenza. Le domande che si aprono sul futuro del tycoon dopo la testimonianza di Cassidy Hutchinson sul suo ruolo la sera del 6 gennaio 2021
Riusciremo a liberarci di Trump? E’ quello che si chiede una fetta del Partito repubblicano e tutti quanti i democratici, che hanno il terrore di doversi scontrare di nuovo con l’ex presidente alle prossime elezioni, nel 2024. Sul candidato dem non si sa ancora nulla, non sono iniziate nemmeno speculazioni autorevoli sui possibili nomi, sappiamo però che Joe Biden avrà 81 anni e che Kamala Harris non è particolarmente amata dalla base. Donald Trump, nei suoi interventi per selezionare i vari candidati alle primarie in giro per il paese, sembra che si stia trattenendo dall’annunciare il suo nome per le prossime presidenziali – ma intanto seleziona e macina primarie. Le ultime rivelazioni alle audizioni del Congresso sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio potrebbero mettere un freno all’ambizione trumpiana di tornare alla Casa Bianca.
Nell’ultima puntata del più grande show del 2022 c’è stato un episodio chiave che, se le audizioni fossero una serie tv – magari! – sarebbe il preludio di un finale di stagione spettacolare: la millennial Cassidy Hutchinson, ventiseienne, ha testimoniato davanti alla deputata Liz Cheney e alle telecamere di mezzo mondo, facendo traballare Capitol Hill. Prima di lei nessuno dell’entourage presidenziale dell’ultimo periodo aveva accettato di parlare live davanti al Congresso, al massimo avevano contribuito con dei video, altri si erano rifiutati. Hutchinson è stata l’assistente di Mark Meadows, capo di gabinetto della Casa Bianca dal marzo del 2020 al gennaio del 2021, ed era lì nei momenti decisivi prima del discorso “We will never give up!”, per protestare contro l’elezione di Joe Biden, prima che i vichinghi e i Proud boys entrassero a forza nell’ufficio di Nancy Pelosi, con al collo una bandiera con scritto “Fuck your feelings”. Trump, preoccupato che davanti al palco ci fossero poche persone e che molti fossero stati allontanati dai servizi segreti perché in possesso di armi da fuoco, avrebbe detto: “Non mi importa se sono armati, non sono qui per attaccare me”. Un’ora dopo la folla buttava giù le barriere gridando: “Impicchiamo Mike Pence”. Trump non solo avrebbe incoraggiato i manifestanti, ma si sarebbe voluto unire all’orda, fu convinto a non farlo da alcuni membri dello staff, pronti in caso contrario a invocare il 25esimo emendamento e farlo sostituire dal vicepresidente. Il fatto che Trump – e Meadows e Rudy Giuliani e gli altri – sapessero che la folla fosse, in parte, armata, potrebbe portare a conseguenze serie per tutti loro.
Ma quello che interessa a tutti è il futuro politico di Trump. Un’accusa di sedizione o incitamento alla violenza potrebbe bastare a neutralizzarlo, a togliergli la possibilità di candidarsi, a non farlo arrivare alle prossime elezioni? Il dipartimento della Giustizia si prenderà la responsabilità di questo processo? Trump potrebbe andare in carcere? Il Partito repubblicano riuscirà a liberarsi della sua frangia più estremista che crede che Biden sia un presidente illegittimo? E questo basterà per ricreare nel 2024 uno scenario elettorale di fair play e fiducia nel sistema? La testimonianza della Hutchinson ha aperto a questa possibilità, rendendo il suo contributo uno dei più importanti di questo grande show dove si decide anche il futuro della presidenza. Naïveté, senso delle istituzioni, trampolino di lancio per una futura carriera politica, non ci interessa il motivo dell’onestà dell’ex assistente di Meadows.
Il capo della commissione, il deputato Bennie Thompson, ha detto alla fine della giornata: “Se dopo oggi qualcuno di colpo si è ricordato delle cose che aveva dimenticato, o alcuni dettagli da chiarire, o se ha trovato un po’ di coraggio che aveva nascosto da qualche parte, le nostre porte restano aperte”. Lo stesso Meadows si è rifiutato di partecipare alle udienze, ricevendo un richiamo formale dal Congresso, cosa che non succedeva dagli anni di Richard Nixon. Per trovare altri parallelismi tra le audizioni e il Watergate, John Dean, la cui testimonianza fu allora fondamentale, ha paragonato la performance di Hutchinson a quella del 1973 di Alexander Butterfield, che rivelò per primo la presenza del sistema di registrazione che portò poi alla fine di Nixon.
Cose dai nostri schermi