strategia del terrore

A Odessa la Russia usa il metodo nazista degli attacchi punitivi

Micol Flammini

Mosca colpisce per rappresaglia, dopo la sconfitta all'Isola dei Serpenti che gli è costata più di 900 milioni di dollari. Gli sfoghi d'ira del momento

La notte tra giovedì e venerdì, verso l’una, la Russia ha cercato la sua vendetta dopo aver subìto una  sconfitta all’Isola dei serpenti, un pezzo di terra molto piccolo e molto strategico nel Mar Nero conquistato dai russi nelle prime fasi della guerra e abbandonato dopo una martellante campagna di contrattacchi da parte dei soldati ucraini, condotta grazie alle nuove armi occidentali. La vendetta è arrivata tramite i missili Kh-22, un modello di produzione sovietica, utilizzato negli anni Sessanta e ricomparso nella guerra di Putin contro l’Ucraina: il centro commerciale a Kremenchuk è stato colpito con la stessa arma e secondo le intelligence occidentali è segno del fatto che Mosca sta raschiando nel suo arsenale e le armi vecchie, meno precise, possono essere più pericolose di quelle più sofisticate. La vendetta della Russia ha colpito ancora una volta i civili, un edificio residenziale fuori Odessa, l’onda d'urto ha colpito anche il condominio accanto, una zona senza valore strategico. Si è iniziato a scavare tra le macerie, a far la conta dei morti, dei feriti, a quantificare la distruzione, le attività che gli ucraini compiono ogni giorno dal 24 febbraio, da quando Mosca dice di bombardare soltanto depositi di munizioni e postazioni militari, invece i morti tra i cittadini aumentano sempre di più: dall’inizio del conflitto le vittime non militari sono arrivate a quattromila e questo numero è il risultato dei bombardamenti indiscriminati che  hanno un copione. 

 

Ogniqualvolta la Russia subisce una sconfitta, militare o diplomatica, ogniqualvolta le cose non vanno come aveva stabilito, si vendica sui civili. Una rappresaglia. La sconfitta sull’Isola dei serpenti ha fatto ancora più male per ragioni anche economiche: Forbes Ucraina ha calcolato che la Russia, cercando di mantenere il controllo dell’isola che avrebbe rafforzato la sua posizione nel Mar Nero, ha perso circa 915 milioni di dollari, la perdita più grande è stata arrecata dall’affondamento dell’incrociatore Moskva, pari a 750 milioni. 

 

La rappresaglia è stata brutale, come brutale è stata quella contro il centro commerciale di lunedì, avvenuta nei giorni dei vertici più importanti tra potenze che stanno disegnando un nuovo ordine mondiale  in cui convivere senza la Russia, tra il G7 e il vertice della Nato. Lo scorso fine settimana, invece, l’esercito russo aveva colpito Kyiv, sempre come reazione al sostegno che l’Ucraina sta ricevendo e contro un occidente che dopo aver dato segnali di sfilacciamento e stanchezza si è ricompattato mostrando che, per ora, sente il pericolo, ma non la fatica. 
Durante la Seconda guerra mondiale, la rappresaglia era la pratica comunemente utilizzata dai nazisti e seguiva lo stesso schema che vediamo applicare da Mosca in questo conflitto: per ogni soldato tedesco ucciso, i comandi militari del Reich si rifacevano sui civili. La Russia, in quella che chiama una missione per denazificare l’Ucraina, ripropone lo stesso copione e se è vero, come suggeriscono alcuni rapporti sulla catena di comando nelle Forze armate russe, che è Putin a dirigere le operazioni e forse anche i singoli attacchi, la sua strategia risponde agli stessi “sfoghi d’ira del momento” – come li definì il colonnello Dietrich Beelitz – che guidavano le decisioni di Adolf Hitler. I tedeschi fucilavano, i russi fanno saltare in aria case, negozi, teatri, rifugi. Il risultato è lo stesso, le motivazioni anche. Secondo diversi analisti militari, questi bombardamenti sono un segno di debolezza da parte di Mosca e rispondono alla volontà di convincere la nazione alla resa attraverso la paura, di bloccare ogni futura controffensiva da parte di Kyiv, ogni futura vittoria sul campo intimando che ogni azione avrà come conseguenza una risposta molto più forte e potrebbe arrivare da qualsiasi parte e contro chiunque. 

 

Ieri Putin ha detto che la pressione occidentale, politica e sanzionatoria, sta spingendo sempre di più Russia e Bielorussia ad accelerare i processi di unificazione. I frequenti incontri tra il capo del Cremlino e il dittatore bielorusso Lukashenka lasciano intendere che i due stanno lavorando insieme, che c’è un progetto e Putin, da anni, aspetta di inghiottire Minsk e potrebbe riuscirci con più semplicità e senza un’“operazione speciale”. Annettere una nazione  che è nelle mani di un dittatore che non sa rimanere in piedi, cercare la sponda di nazioni stremate, più stremate della Russia, anche sono segni  di debolezza. Ma la debolezza di Putin non è meno pericolosa dei suoi momenti di forza.  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)