Lo scacchiere geopolitico
Le faide alle isole Svarbald, il nuovo fronte tra Russia e Norvegia
Il Cremlino complica le relazioni anche oltre il Circolo polare artico: Mosca accusa Oslo di aver infranto il trattato delle Svalbard, firmato nel 1920 da 46 paesi (tra cui l'Italia) che prevede anche la demilitarizzazione delle isole.
Prima la Lituania, adesso la Norvegia. Dopo aver accusato il governo di Vilnius di aver isolato con un blocco delle merci l’exclave russa di Kaliningrad e aver minacciato rappresaglie, il Cremlino rivolge ora le stesse recriminazioni (e le stesse minacce) anche a Oslo. Il paese scandinavo, si lamenta Mosca, avrebbe bloccato i rifornimenti all’insediamento minerario russo di Barentsburg, nell’arcipelago artico delle Svalbard, amministrato dalla Norvegia.
Vilnius ha fatto notare di aver solo applicato le sanzioni decise dall’Unione europea, fermando il passaggio ferroviario sul proprio territorio di specifici materiali per e da Kaliningrad (mentre rimangono oltretutto attivi i collegamenti aerei e marittimi tra la Russia e la sua exclave incastonata sulle rive del Baltico tra Lituania e Polonia). Allo stesso modo, anche il ministro degli Esteri norvegese, Anniken Huitfeldt, ha spiegato che il suo paese, applicando le sanzioni dell’Ue (che ha adottato pur non facendo parte dei Ventisette) ha soltanto impedito il passaggio di alcune merci che Mosca, invece di inviare direttamente alle Svalbard, voleva far passare su strada attraverso la terraferma norvegese perché fossero poi spedite da lì nelle isole artiche.
Oslo, ha detto la Huitfeldt, non sta quindi infrangendo in alcun modo il trattato delle Svalbard, un accordo che è stato firmato nel 1920 e che nel corso dei decenni si è allargato a 46 paesi, che vanno dall’Afghanistan al Venezuela e fra i quali c’è perfino la Svizzera (nonché l’Italia). Questo trattato, accanto alla sovranità norvegese sull’arcipelago, prevede la demilitarizzazione delle isole e una serie di concessioni per i cittadini dei paesi aderenti che vogliano vivere nelle Svalbard, avviarvi attività commerciali o sfruttarne le risorse. Dei meno di tremila abitanti, peraltro, nessuno è davvero “delle Svalbard” ma tutti sono, di fatto, “di passaggio” (si favoleggia di un divieto di nascere e di morire nell’arcipelago, che in realtà deriva soltanto da una prassi: chi è gravemente malato e chi sta per partorire viene trasferito in terraferma perché l’ospedale non è attrezzato e perché è vietato, quello sì, inumare cadaveri che, a causa delle temperature, non si decompongono e conservano per decenni sottoterra eventuali virus).
In questo particolare contesto demografico, oltre al capoluogo Longyearbyen, in cui vivono poco più di duemila persone di molte diverse nazionalità, gli altri due centri abitati sono stati gestiti in passato dall’Unione sovietica e poi dalla Russia. In realtà, Barentsburg, grazie all’attività estrattiva dell’impresa statale russa Arktikugol, è ancora abitata, mentre l’altra cittadina mineraria sovietica delle Svalbard, Pyramiden, è da anni una ghost town. E se dal punto di vista estetico entrambi gli insediamenti si sono conservati sovietici come in una teca museale – con tanto di busto di Lenin a vegliare sullo spiazzo principale, che chiamare piazza sarebbe un tantino generoso nonostante gli sforzi di monumentalità – è proprio verso Pyramiden, per il suo valore aggiunto di luogo cristallizzato nel suo abbandono, che negli ultimi anni si sono sviluppati flussi turistici piuttosto intensi se si considera la difficoltà di accesso. A Barentsburg invece si vive e si lavora ancora. A rendere più complicato il quadro, secondo i dati del governatore (norvegese) delle Svalbard all’inizio dell’anno gli abitanti di Barentsburg erano 120 russi e 220 ucraini, molti dei quali, oltretutto, provenienti dalla regione del Donbas.
Le Svalbard sono ovviamente un microcosmo del tutto particolare – sebbene anche lì, come raccontano i bollettini informativi (come High North News, pubblicato dall’Università di Bodø) succedano delle cose, come una mostra e una raccolta fondi a favore dell’Ucraina che è stata organizzata a Longyearbyen, con la partecipazione di abitanti ucraini e russi. Ma è vero che la guerra sta complicando il già delicatissimo scacchiere geopolitico dell’estremo nord, specie dopo l’avvicinamento alla Nato di Svezia e Finlandia. Le relazioni, infatti, sono tese anche oltre il Circolo polare artico. Stati Uniti, Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, cioè tutti i paesi, tranne la Russia, che fanno parte del Consiglio artico, l’organizzazione internazionale che si occupa di quell’area del mondo, hanno deciso di sospendere la loro partecipazione alle riunioni. E anche l’ Iasc, l’associazione scientifica internazionale che organizza ogni anno l’Arctic Science Summit Week, nel marzo scorso ha proibito la partecipazione dei rappresentanti russi alla settimana di incontri del 2022 che si è svolta a Tromsø, in Norvegia. E meno male che proprio alle Svalbard, sia sulla montagna che sovrasta Barentsburg sia su quella che domina Pyramiden, si legge ancora, scritto a grandi lettere bianche: Miry-Mir, e cioè “Pace nel mondo”. Ma, d’altronde, quello non è che un vecchio slogan sovietico.
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