Il ritratto
Brilla la stella di Habeck, il vicecancelliere tedesco alle prese con la crisi energetica
Il “metodo” dell'anti-Scholz piace: non a caso da settimane è in cima alla classifica dei ministri più popolari in Germania. L’ex co-presidente dei Verdi ha saputo trasformare ogni apparente sconfitta in una vittoria personale
Come re Mida, Robert Habeck trasforma tutto quello che tocca in oro. Solo che per lui – vicecancelliere verde, e ministro dell’Economia e del Clima – il metallo prezioso significa credito politico illimitato e picchi di popolarità senza eguali nei sondaggi. A quasi sette mesi dall’insediamento nel governo semaforo fra Socialdemocratici (Spd), Grünen e Liberali (Fdp), Habeck è il “Liebling”, il beniamino incontrastato della nazione. Anche la politica, per fare presa, ha bisogno di miti, di una narrativa che partorisca personaggi, e magari eroi. Ne hanno bisogno anche i tedeschi soprattutto in tempi incerti come questi, con la guerra in Ucraina, la pandemia che non demorde, la crisi energetica, rincari come non si vedevano dagli anni 70 (inflazione al 7,6 per cento a giugno) e la minaccia incombente di una grave recessione con conseguente nuova crisi dell’euro. Dopo la lunga favola di Angela Merkel – la cancelliera dell’est, donna, scienziata e Mutti, mamma nazionale, che ha traghettato e rassicurato il paese in una lunga ninna nanna durata 16 anni – i tedeschi hanno trovato in Robert Habeck lo schermo per le loro proiezioni. L’ex co-presidente dei Verdi ha saputo trasformare ogni apparente sconfitta in una vittoria personale, ha inventato una nuova forma di comunicazione e consegnato al paese l’embrione di una nuova mitologia, con lui al centro. Incarna una nuova specie di politico, fatto di altra pasta, con un linguaggio e uno stile, incluso il look, completamente diversi da quelli che il cittadino è comunemente abituato a vedere nei politici. Niente politichese, niente bla bla, niente frasi in codice tanto per aprire bocca e non dire nulla, niente promesse a vuoto tanto domani, o la prossima legislatura, chi se le ricorda: niente di tutto questo. Bensì la secca verità, rivestita di parole che tutti capiscono, ma nobilitata di pensieri e riflessioni, formulati spesso con pause o inceppandosi come chi cerca le parole giuste per i concetti da esprimere, che segnalano la sincerità, e a volte il tormento, di chi le pronuncia. Il risultato è che quando Habeck parla, la gente lo ascolta, e gli crede. Il fatto poi che sia di bell’aspetto, trasognato e trasandato quel tanto che basta, non guasta al suo charme. E’ l’esatto opposto del cancelliere Scholz, imbalsamato nel suo ruolo, che non parla mai o, quando lo fa, riesce solo a raggelare.
I pensieri e le riflessioni, formulati con pause come chi cerca le parole giuste per i concetti. Un segnale di sincerità, e a volte di tormento
Il “metodo” Habeck piace: non a caso da settimane è in cima alla classifica dei ministri più popolari in Germania con 59 punti, secondo solo al presidente Frank-Walter Steinmeier, e avanti di tre posizioni al cancelliere, che ottiene solo 49 punti perdendone 23 rispetto all’insediamento a dicembre: di mezzo, fra Habeck e Scholz, altri due ministri verdi: la ministra degli esteri Annalena Baerbock e quello dell’agricoltura Cem Özdemir. Il suo successo suscita un misto di imbarazzo e invidia nei colleghi che si sentono oscurati, ignorati o messi in cattiva luce. La sua abilità nel saper gettare lo sguardo più in là degli altri si era vista anche nel maggio 2021, un mese dopo la designazione della Baerbock a candidata cancelliera, al rientro da un viaggio in Ucraina. Aveva perfettamente capito la situazione: bisogna fornire armi difensive a Kyiv, disse nove mesi prima dell’aggressione russa raccogliendo una scarica di fischi dal suo partito, e non solo. Adesso è gara a spingere per forniture di armi, difensive e pesanti, all’Ucraina, con la Baerbock in testa che rilancia di continuo su un cancelliere afasico e riluttante.
Bisogna fornire armi difensive a Kyiv, disse nove mesi prima dell’aggressione russa. Si prese fischi dal suo partito e non solo
Alla politica con la P grande Habeck è arrivato spinto dal desiderio di cambiare le cose, con una visione in testa, la passione nel cuore e molto pragmatismo nell’azione quotidiana. La ragione della sua popolarità sta proprio nella sua diversità. In genere i politici tedeschi, inclusi tutti i cancellieri salvo la Merkel che era fisica, hanno tutti la stessa formazione accademica: legge, economia o scienze politiche.
Nato a Lubecca 53 anni fa, sposato con quattro figli e autore assieme alla moglie Andrea Paluch di numerosi libri, inclusi romanzi, racconti per bambini, saggi e un’autobiografia (“Chi osa comincia”), Habeck inizia la sua carriera politica con i Verdi nello Schleswig-Holstein, il Land del Nord che confina con la Danimarca, a cui si sente molto legato e dove ha fatto un Erasmus (i figli studiano lì e in famiglia parlano spesso danese). Approccio intellettuale, mente speculativa, dottorato in filosofia conseguito a 31 anni a Friburgo. Titolo della tesi, “La natura della letteratura: del fondamento teoretico dell’estetica letteraria”.
Che sia dotato di pragmatismo Habeck lo ha dimostrato spesso e anche recentemente. Innanzitutto nell’aprile 2021 quando il partito, che per la prima volta decideva di correre con un candidato cancelliere alle legislative a settembre, doveva scegliere chi lanciare nella sfida: se lui o l’altra co-presidente, Annalena Baerbock. Era chiaro a Habeck che per i Grünen – attentissimi sempre al genere tant’è vero che hanno sempre avuto una coppia uomo-donna alla guida del partito e del gruppo parlamentare – non c’era dubbio e avrebbe dovuto essere la Baerbock: donna, giovane, fresca, ideale come erede potenziale della Merkel alla cancelleria. Si fece quindi da parte e le cedette il passo. Una rinuncia politicamente corretta e inevitabile ma che, come lui stesso ammise, gli costò moltissimo. E che comunque seppe volgere a suo vantaggio: si è sacrificato per difendere un principio e lo ha fatto senza livore, l’elogio unanime dei commentatori. Poco dopo, con grande candore e senza infingimenti, confessò alla stampa che quello della rinuncia era stato “il giorno più doloroso nella mia carriera politica”, “diciamo il più difficile”. “Nulla di più al mondo avrei voluto che servire la Repubblica da cancelliere, ma dopo questa campagna non potrò farlo”. “Lo volevamo entrambi ma uno solo può farlo e adesso è ora di dire che la prima candidata alla cancelleria sarà Annalena Baerbock”, disse con un cedimento di voce nel pronunciare il suo nome.
Come poi siano andate le cose è noto: la Baerbock, dopo l’euforia iniziale di tutti i media e i sondaggi alle stelle, ha inanellato una serie di errori e gaffe affossando se stessa e il partito che al voto il 26 settembre arrivò terzo dopo Spd e Cdu-Csu e si fermò al 14,8 per cento. Risultato degnissimo rispetto al 2017 (8,9 per cento), ma molto sotto le aspettative che solo nell’aprile 2021 davano i Verdi primo partito al 29 per cento, davanti a Cdu-Csu e Spd, e quando il primo cancelliere (o cancelliera) verde della storia sembrava cosa fatta. La campagna invece non è andata come i Verdi speravano e neanche l’esito. E in molti si sono detti che, se lo sfidante fosse stato Habeck, il risultato sarebbe stato diverso e forse oggi il cancelliere sarebbe lui. A dispetto dei sondaggi, invece, la Spd, anche se di poco sulla Cdu-Csu, è arrivata prima e Olaf Scholz – grazie anche alla fiacca performance del candidato dell’Unione, Armin Laschet – ha avuto l’incarico di formare il nuovo governo: si andava verso una coalizione semaforo (rosso, verde, giallo), la prima fra Socialdemocratici, Verdi e Liberali in Germania. Ma anche qui, nei negoziati per il nuovo esecutivo, Habeck deve di nuovo abbozzare. Voleva a tutti i costi le Finanze ma i liberali hanno puntato i piedi reclamando per sé e il leader Christian Lindner il ministero. Scholz doveva accontentarli, era il prezzo per il loro ingresso al governo altrimenti sarebbe saltato tutto. Habeck deve cedere, e ripiegare su quello dell’Economia e della Tutela del clima. Diventa comunque vicecancelliere, mentre la Baerbock insiste e ottiene gli Esteri. Di nuovo però, quella che sembra una sconfitta, si rivela per lui una fortuna.
Un passo indietro doloroso: la candidata dei Verdi è stata Annalena Baerbock. Molti dicono che, fosse stato lui, il risultato sarebbe stato diverso
Con la guerra in Ucraina, anziché di clima, svolta energetica, pale eoliche, energie fossili e idrocarburi, Habeck deve adesso gestire il tema dei temi: la crisi energetica. E’ diventato il capo negoziatore per la ricerca di forniture alternative al gas russo. Non c’è dossier importante che non passi dalle sue mani, che sia economia, energia, clima, investimenti o ristori per i rincari di prezzi e bollette. Una settimana fa ha dichiarato il livello due (su tre) di allarme del piano di emergenza sul gas (al tre si passa ai razionamenti): un annuncio che gli ha conferito l’aura di cancelliere. A Christian Lindner alle Finanze, invece, il ministero che tanto Habeck avrebbe voluto, non resta che tappare i buchi di bilancio lasciati dalla pandemia, dal carovita e dal fondo straordinario di 100 miliardi di euro annunciato da Scholz per la Difesa tre giorni dopo l’aggressione russa in Ucraina: miliardi su miliardi da reperire sul mercato con nuovi debiti. Un danno di immagine notevole per il ministro liberale, costretto a una plateale sconfessione del suo proclama di voler riportare i conti in ordine e il deficit a zero. Nella crisi, è Habeck l’uomo del momento, nei panni ora di moderno Robin Hood che si preoccupa del bene dei cittadini, ora di Mercurio alato che vola da un paese all’altro per mediare, trattare e strappare forniture di gas e petrolio in alternativa a quelle russe, da cui la Germania è fortemente dipendente (ha bussato in Qatar, Emirati Arabi Uniti e in America).
Habeck è soprattutto un mago della comunicazione e le sue esternazioni infiammano il popolo della rete anche se lui, in realtà, dai social si è cancellato tre anni fa per coerenza politica dopo un paio di tweet infelici (battutacce sulla democrazia in Turingia e nella bavarese Csu) e dopo un hackeraggio del suo account. Ma è proprio la comunicazione in cui eccelle che potrebbe rivelarsi un boomerang: in molti hanno osservato che per accontentare tutti Habeck dice spesso tutto e il contrario tutto. Tanto che per lui è stato prontamente coniato un soprannome caustico mutuato dal romanzo di Max Frisch, Homo faber: “Homo laber”, all’incirca chiacchierone, dal verbo “labern”, cianciare. “Mentirei se lo escludessi”, ha confessato candidamente giorni fa alla domanda se Mosca potrebbe tagliare del tutto il gas alla Germania. E non ha neanche escluso che la bolletta del gas possa triplicare: “E’ possibile”, “prepariamoci a un’ondata di rincari inevitabili”, ha detto proiettando anche lo spettro di “una specie di effetto Lehman-Brothers nel mercato energetico”. Ai connazionali che, reduci della pandemia, ancora non vogliono prendere coscienza della necessità di tagliare i consumi energetici, anziché puntare paternalisticamente il dito contro, ha mostrato comprensione e usato l’espressione molto romantica e assai poco politica di “oblio di sé”. Sullo stesso tema ha anche suggerito di sbrigarsi a fare la doccia: lui non c’ha mai messo più di cinque minuti ma adesso ha accorciato molto i tempi (un minuto gli basta). Oppure, rispondendo a una moderatrice della Zdf sull’ipotesi di ristori per il caro energia, ha respinto la logica degli aiuti pubblici senza uno sforzo solidale di tutti: “Se uno dice, io aiuto solo se incasso altri 50 euro, allora dico: no, non li becchi vecchio mio”. E quel vecchio mio (“Alter”) ha mandato in visibilio la rete. La sua franchezza disarma e affascina: Habeck incarna l’anti-Scholz, il cancelliere di ghiaccio che non riesce a uscire dalla sua armatura di gesso e gelo, come si è visto anche giorni fa al G7 in Baviera. Alla conferenza stampa finale una giornalista di Deutsche Welle, Rosalia Romaniec, gli ha chiesto garbatamente se poteva precisare quali fossero le garanzie di sicurezza promesse dalla Germania all’Ucraina. “Sì, potrei”, ha risposto Scholz dopo una lunga pausa, per poi far calare il silenzio accompagnato da uno di quei suoi risolini che gli sono valsi il paragone con un puffo da parte dello strafottente leader bavarese Markus Söder. E’ seguito un secco: “Das war’s” (questo è quanto) con cui Scholz si è congedato provocando sghignazzate fra i giornalisti in sala. La collega polacca, responsabile della redazione di Berlino di Deutsche Welle e membro direttivo dell’Associazione della stampa estera Vap, si è poi sfogata su Twitter raccontando l’accaduto e compulsando qualche emoji allusivo. Un tripudio le reazioni al suo tweet: in meno di 24 ore 5.500 like e oltre 300 risposte e 700 retweets. Anche il video con lo scambio verbale è diventato virale: è stato cliccato da oltre un milione di persone, ed è improbabile che la risposta del cancelliere sia piaciuta (è partito anche un hashtag #Scholzvergogna).
L’ultima gaffe di Scholz: alla domanda sulle garanzie di sicurezza promesse all’Ucraina, prima il silenzio, poi un risolino, infine “questo è quanto”
Habeck è insomma il magnete della coalizione, il luminare attorno al quale ruotano i pianeti della galassia governativa. I termini e le metafore per lui si sprecano: cancelliere mancato, anti-politico, superministro, Krisenmanager, Schöngeist (bellospirito) e molti prestiti dalla mitologia: Titano, Sisifo, Ercole, Icaro. Per la Frankfurter Allgemeine Zeitung Habeck è irrinunciabile, per la Süddeutsche Zeitung è pressoché perfetto nel suo lavoro. Alle prossime elezioni nel 2025 ha tutti i numeri per diventare il prossimo cancelliere. Oppure, secondo la Süddeutsche, il rischio per lui, come per Icaro, è di sciogliersi e precipitare a terra per essersi spinto troppo in alto con le sue ali di cera.