la linea russa
La lunghissima battaglia del Donbas porta a Putin Luhansk e molti problemi
La nuova fase della guerra non è adatta a una nazione autarchica come la Russia che raschia il fondo del suo arsenale e invita a combattere i cittadini fino a 65 anni. Gli obiettivi mancati e le carte ucraine
La battaglia per il Donbas è una delle più lunghe combattute nelle ultime guerre. Gli esperti, per durata, la comparano a Verdun o alla Somme, durante la Prima guerra mondiale. Dopo la presa di Lysychank, per riuscire a stabilire il controllo di gran parte dell’oblast di Luhansk, una delle due che costituiscono la regione orientale del Donbas, Mosca ha impiegato più di settanta giorni: è andata avanti con lentezza, centimetro dopo centimetro. Se prima, come ha detto lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la Russia controllava circa il 20 per cento del territorio di Kyiv, ora, a quel venti, ha aggiunto circa lo 0,5 per cento in più. Il risultato è importante per Mosca, ma anche i costi che ha dovuto sostenere lo sono. Gli obiettivi sono al ribasso: Mosca avrebbe anche dovuto e voluto circondare parte delle forze ucraine, tra le meglio addestrate ed esperte dell’esercito di Kyiv. Questo obiettivo, che era cruciale, non gli è riuscito, perché gli ucraini organizzando una ritirata ordinata, prudente e nei tempi giusti – agevolati anche dal fatto che Mosca non aveva distrutto le linee di comunicazione – hanno spostato gli uomini e i mezzi che ora, scampati all’accerchiamento russo, potranno utilizzare altrove. Questo per Mosca è il momento delle scelte, dovrà stabilire se concentrarsi sul Donbas, sull’oblast di Donetsk, dove gli ucraini mantengono postazioni chiavi, o se portare la sua attenzione verso Kherson, la prima zona che è riuscita a occupare, ma in cui va avanti la controffensiva ucraina.
La conquista di Luhansk è stata costosa e Mosca dovrà riorganizzarsi, dovrà anche fare i conti con gli sforzi che ha dovuto sostenere in questi ultimi settanta giorni. Nella seconda fase della guerra, che corrisponde all’inizio dell’offensiva nel Donbas e alla ritirata russa dal nord dell’Ucraina, Mosca ha già mostrato di aver rinunciato parzialmente all’utilizzo di veicoli corazzati, ne ha persi molti e non è stata in grado di sostituirli. Ha cercato di compensare le perdite con carri armati anche di epoca sovietica, mezzi degli anni Sessanta, perché la produzione di nuovi carri armati potrebbe essersi fermata per la mancanza di componenti chiave che arrivavano dall’occidente, come i microchip. Negli attacchi compiuti la scorsa settimana, contro il centro commerciale a Kremenchuk o contro l’edificio residenziale fuori Odessa, sono stati usati missili sempre di epoca sovietica, i Kh-22, che non si vedevano dagli anni Sessanta. La guerra di Mosca si sta facendo sempre più imprecisa, e per questo anche più pericolosa, ma non si può stabilire per quanto ancora potrà continuare a raschiare le armi rimaste nel fondo dei suoi arsenali. Come risposta alle sanzioni occidentali, la Russia sta andando verso un’economia sempre più autarchica, ma le mancano le strutture e l’organizzazione. Questa è anche una delle grandi differenze con l’Unione sovietica, che era invece autonoma per la produzione di tutte le sue necessità belliche: la Russia di Vladimir Putin non lo è.
La Russia ha bisogno anche di soldati, che dall’inizio dell’offensiva fatica a trovare. Per combattere nel Donbas ha fatto largo uso di mercenari o di volontari provenienti dalle due sedicenti repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. La Duma ha appena approvato una legge che aumenta a 65 anni l’età per il servizio militare ed è il segnale che se tra i ragazzi c’è chi vandalizza gli uffici di coscrizione pur di non fare la guerra, ora si cerca tra la popolazione più anziana, che è anche quella più incline a sostenere Putin o la sua guerra. Il presidente russo potrebbe annunciare una mobilitazione generale, ma sarebbe molto impopolare: per ora preferisce incoraggiare i coscritti, anche con la promessa di buoni stipendi, ma la campagna continua a non avere grande seguito.
L’Ucraina si trova in una situazione diversa. Nel Donbas ha subìto perdite importanti, al culmine della battaglia di Severodonetsk, il presidente Zelensky riferiva di perdite di 100-200 uomini al giorno, ma a Kyiv il personale non manca. A differenza dei russi, gli ucraini non hanno ancora messo in campo riservisti mal preparati. Inoltre l’arsenale dell’Ucraina si sta arricchendo, stanno arrivando armi importanti e raffinate dai paesi occidentali e nelle prossime settimane le consegne dovrebbero ancora aumentare.
Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha iniziato a chiedere sempre con maggior insistenza agli ucraini una resa alle condizioni russe. Insiste ora che Mosca ha dei successi da vantare. In questi giorni, però, la guerra potrebbe cambiare di nuovo, potrebbe entrare in una terza fase, più favorevole per gli ucraini che per i russi: la ritirata di Mosca dall’isola dei Serpenti ha dimostrato che Kyiv sa come usare le armi arrivate da poco e che la Russia, messa alle strette, si ritira. Ora sull’isola nel Mar Nero sventola di nuovo la bandiera di Kyiv.