Foto di Ansa 

Il viaggio

Cosa si scopre in un pomeriggio in Mozambico inseguendo Mattarella

Corrado Beldì

La nuova fase dell’Italia in Africa passa da un binomio: più cultura e più gas per tutti. Un viaggio tra arte, musica e contratti 

Maputo, Mozambico. Il tetto è sfondato e le finestre non ci sono più, strappate dai rampicanti o dalle magnolie che ormai spuntano dal tetto, diresti che non c’è più nulla da salvare se non fosse che al tramonto gli azulejos cominciano a brillare, sono ovunque e di un turchese che lascia senza fiato. Appena atterrato a Maputo mi sono fatto portare davanti a Vila Algarve, in questa casa abbandonata José Craveirinha scrisse “possono metterci in ginocchio / ma non possono farci inginocchiare”, erano versi molto amati da Amelia Rosselli, venne arrestato e torturato qui dai servizi segreti nel 1965, il carcere non lo piegò e il Mozambico fu presto liberato, con tanto di zappa e kalashnikov nella bandiera. Una ragione in più per esserci venuto.

 

Sono qui da volontario, per un progetto di cooperazione, grazie a Cecilia di Milano Musica, vado sempre al loro festival, concerti memorabili dedicati a Kurtàg, Xenakis, Romitelli e Grisey, dalla Scala all’Hangar Bicocca, sempre e solo di musica contemporanea. Note, spartiti, elettronica e ora pure il Mozambico grazie a Valentina di Agape che da vent’anni lavora qui a progetti di sviluppo e formazione. Siamo in uno dei paesi più poveri al mondo ma con enormi giacimenti di gas naturale e dodicimila km di coste e tanta bella architettura da preservare, meraviglie moderniste, edifici in ferro ispirati da Gustave Eiffel, vecchi cinema déco. Alcuni qui un tempo facevano la bella vita, lo capisci dai decori in stile portoghese, come questi di VilaAlgarve, meravigliosa e maledetta dimora da troppo tempo abbandonata.

 

Sono ancora incantato a guardarla quando Jorge mi spinge in macchina e mi catapulta al Festival Raiz, un palco in un prato in declivio al buio e attorno palazzi e bidoni infuocati e banchetti e bimbi che corrono e una ragazza che mi allunga una caipirinha. C’è del Brasile in Mozambico o forse è viceversa e tutto attorno quella tipica  e trascinante vitalità africana che all’istante mi fa dimenticare un giorno intero di viaggio. Inizia a suonare Albino Mbie ed è subito un’ovazione, talento vero, la chitarra costruita a quindici anni con una tanica di benzina, tre anni dopo a Boston con una borsa di studio ed eccolo qui, il ritorno del figliol prodigo, con una band di musicisti locali. Voce, basso, percussioni. Dolcezza e ritmi contagiosi. Cantano e ballano tutti. In due minuti so già che lo porterò in Italia. Seconda caipirinha, due salti e a dormire che domani si lavora.

 

La mattina trovo ovunque locandine con la mia foto. Condurrò due giorni di workshop con artisti e operatori locali, temo non verrà nessuno e invece siamo in settanta, mi aiutano David, giornalista culturale, Mimma, docente di Milano ed esperta di gestioni teatrali e Marinella, musicoterapeuta di Budrio, capitale mondiale dell’ocarina. Raccogliamo idee per sviluppare l’industria musicale, formazione, un’alleanza tra festival, una rete di Casas da Cultura, supporto agli artisti e aiuti del Governo sulla promozione, anche attraverso cinema e televisione. Candido Namburete ascolta e annuisce, è il dottor Antonio Parente del Mozambico, il direttore generale dello spettacolo dal vivo. Vuole riformare il sistema di finanziamento pubblico, cerca un modello meritocratico, gli spiego l’algoritmo del FUS e s’illumina d’immenso. Salvo Nastasi ne sarà fiero, entro sei mesi adotteranno un modello ispirato al nostro.

 

Nel poco tempo libero faccio jogging, è l’unico modo per vedere a pezzi la città. La stazione ferroviaria, le poste, il mercato coperto, il ponte sulla baia, la grande statua di Samora Machel, fa buio presto e più che correre c’è da evitare le buche. La mia strada preferita è Avenida Friedrich Engels, sono i segni della rivoluzione socialista, faccio dei gran selfie anche alla Lenin, alla Marx e alla Kim Il-Sung. Inevitabili contrasti, grattacieli e quartieri popolari. Per strada trovo un maestro di pugilato, mi unisco alla lezione, gli esercizi sono davvero micidiali. Mi riprendo con una doccia ghiacciata e vado in cerca di un drink ristoratore allo storico Polana, meraviglioso albergo in stile coloniale. Il Martini è ben ghiacciato, al primo sorso oltre i vetri vedo un nugolo di persone. Scortano qualcuno. Somiglia al Presidente Mattarella. Oddio, è proprio lui. Lo inseguo per salutarlo ma la security mi trattiene. Muoio dalla voglia di salutarlo. Ne faccio una questione di principio.

 

La sera leggo tutto sulla visita ufficiale, l’occasione è il trentennale degli Accordi di Roma che misero fine alla guerra civile. C’è un nuovo protocollo da firmare. Cultura, istruzione e sostenibilità. Il tema ovviamente è il metano e anche noi siamo pronti a portare idee. Musica e residenze creative, formazione a tecnici e supporto agli artisti, innovazione e tradizione. Un esempio concreto lo scopriamo la mattina al Museu Cinema dove Claudia traduce tutto alla perfezione, è una volontaria antropologa italiana, ci fa portare in archivio 15mila pellicole di film, immagini in movimento sin dai tempi del colonialismo. Sarebbe una bella impresa, attrezzature e formazione per restaurarli e rassegne nelle Casas da Cultura di cui ci occuperemo presto.

 

Saranno tre a Inhambane, Quelimane e Nampula, quella a nord non lontana dalla zona critica di Cabo Delgado dove si moltiplicano le azioni terroristiche di Ansar al-Sunna. Certo, il kalashnikov ma forse è bene aggiungere anche la cultura. Porteremo formazione, residenze artistiche, mostre e concerti. Magari anche proiezioni dall’archivio. Jenito è entusiasta, il Ministero della Cultura è con noi. Poco dopo mi regala una magnifica camicia e mi informa che Mattarella lascerà il Polana tra due ore.

 

Ci precipitiamo a salutarlo col gruppo dei volontari, la camicia è stropicciata al punto giusto, ci mettiamo in attesa in un angolo della hall. Dopo mezz’ora il suo arrivo è come una visione, la chioma bianchissima e il passo sicuro. Lo fermano per regalargli un ritratto. È identico a Gianni De Michelis, qualcuno ha scaricato la foto sbagliata. Il Presidente ringrazia e accelera per uscire ma Claudia lo chiama. “Presidente! Siamo un gruppo di volontari italiani!” Si ferma e Claudia ci presenta. “Mario, Gianni, Marinella e Corrado”. Il Presidente stringe la mano uno ad uno. Foto ufficiale e missione compiuta.

 

Dopo un’ora, con la camicia di Jenito indosso, sono in taxi diretto all’aeroporto. Sfreccio davanti a Vila Algarve e mi balena un’idea, perché non farci la sede di un Istituto Italiano di Cultura? I costruttori italiani potrebbero restaurarla a meraviglia, segno indelebile per inaugurare una nuova stagione di diplomazia col Mozambico. Più cultura e più gas per tutti. Arte, musica e contratti. Un luogo simbolo del Paese da intitolare ad Amelia Rosselli. Domani scrivo al Presidente, sono certo che l’idea gli piacerà.

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