I piani del Labour

Starmer prova a sfruttare il piccolo vantaggio e la crisi della “brigata dei pesi piuma”

Cristina Marconi

I tempi per andare al voto nel Regno Unito non sono ancora maturi, ma il leader dei laburisti comincia a lavorare per il futuro. I sondaggi danno il suo partito in vantaggio sui Tory in totale crisi di identità

Lo spettacolo è “patetico” e Boris Johnson deve andare via il prima possibile da Downing Street, certo, ma Keir Starmer, che dei difetti del leader uscente non ne ha apparentemente nemmeno uno, dovrebbe dimostrare in un momento come questo di avere un po’ dell’unica qualità di Johnson: la grinta, l’ottimismo, il piglio arrembante e vincente. L’esperienza, dopo due anni e passa di leadership del Labour, suggerirebbe che neppure il collasso dei Tory, prima ancora di quello di Boris Johnson, sia in grado di scrollare Starmer dalla sua figura di tigre vegetariana. Ma chissà. Per ora secondo Ipsos Mori ben 4 laburisti su 10 sostengono di non avere ben chiare le sue posizioni politiche e la sua visione per il futuro del paese. Un dato che sale al 53 per cento se si guarda all’insieme dell’elettorato, che invece sui leader di sinistra del passato aveva le idee ben chiare, e in negativo, a riprova che l’ambiguità di Starmer può ancora risultare “costruttiva”, se usata bene. 

 

In primavera è uscita una biografia del capo laburista – “The Starmer Project”, di Oliver Eagleton, direttore di una rivista socialista – che si voleva molto critica e che invece, descrivendolo come uno spietato accoltellatore politico, ha rassicurato un po’ tutti, lasciando per la prima volta intravedere l’immagine di uno capace, eventualmente, di farsi strada verso Downing Street con tutta la brutalità del caso. Per ora il suo peccato principale è una foto che lo ritrae con una birra in mano durante quello che secondo lui era un innocente pasto takeaway con il suo staff in un periodo di lockdown e secondo i suoi accusatori una violazione in stile Boris delle regole della pandemia. 

 

A ogni modo i tempi per andare alle urne non sono ancora maturi, ci si può solo affidare all’arte del pressing che Sir Keir, giurista di rango, sta esercitando per bene: ha fatto sapere che il suo partito è pronto a un voto di sfiducia qualora i Tory non facessero rapidamente piazza pulita di un premier tremendamente “unfit” da molto tempo a questa parte. Peccato che il suo partito negli ultimi anni si sia dimostrato capace di spaccarsi su questioni anche più semplici e che l’idea di vederli votare insieme sia di quelle da brividi. Addirittura sulla Brexit non si è arrivati a un punto di accordo: Starmer, che ai tempi in cui era nel governo ombra di Jeremy Corbyn era un sostenitore di un secondo referendum, ora ritiene che l’unica soluzione sia quella di far funzionare l’uscita dall’Ue, di renderla pragmaticamente meno dannosa per il paese cercando di negoziare un riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali e dei reciproci standard di sicurezza, accordi veterinari per evitare i costosi controlli nel settore agroalimentare, una semplificazione delle regole per gli artisti in tournée e un rientro del Regno Unito nei programmi scientifici europei come il progetto Horizon. Così anche la situazione irlandese verrebbe in qualche modo mitigata. Questo ovviamente ha portato a spaccature e critiche sia da parte degli europeisti che non si arrendono all’evidenza dei dati – secondo Ipsos la maggioranza rivoterebbe come nel 2016, anche se solo il 27 per cento degli elettori pensa che la Brexit stia andando bene – sia da parte di chi ritiene che qualunque concessione all’Ue sia una forma di alto tradimento. YouGov rileva invece un 29 per cento fortemente a favore e un 19 a favore della linea di Starmer, visto che la Brexit è il pozzo nero che sta inghiottendo tutte le energie della politica britannica da sette anni a questa parte. 

 

Con un certo vantaggio nei sondaggi – i laburisti stanno al 39 per cento, i conservatori al 33 – Starmer fa bene a puntare sulle elezioni generali per capitalizzare il dramma di un Partito conservatore spaccato, che si è nascosto per anni dietro alla figura di Boris Johnson per non affrontare i suoi problemi e la sua crisi d’identità. Con caratteristica arte oratoria, Starmer ha definito ciò che resta della nomenklatura conservatrice “la brigata dei pesi piuma”, dopo aver parlato nei giorni passati “dell’unico caso nella storia di nave in avaria che fugge dai ratti”, ma il suo partito non sta molto meglio e questo non è un periodo in cui le scelte economiche possano essere mitigate da un contesto roseo. Con l’inflazione all’11 per cento e le spese da Covid da ripagare attraverso un aumento delle tasse, Starmer si ritroverebbe a dover prendere scelte difficili, impopolari, non compensate da nessuna idea forte, o almeno parrebbe: d’altra parte la vivacità a sinistra non è una delle caratteristiche salienti di questi anni.

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