Tory senza Boris
Per scegliere il loro leader i conservatori inglesi vanno di fretta, ma non sanno dove
Il sollievo dei Tory senza BoJo è di corto respiro. Molti parlano del decennio perduto del Regno Unito: buona parte dell’erosione della ricchezza britannica è imputabile alla Brexit, che Johnson ha sostenuto, negoziato, portato a termine e infine malgestito, ma quasi nessuno ha idee né più chiare né diverse da quelle del premier
Milano. I conservatori inglesi vogliono fare in fretta: la corsa alla successione del premier Boris Johnson, che si è dimesso giovedì dalla leadership del partito, è affollata e caotica, ma poiché lo stesso Johnson è ancora a Downing Street e ci starà fino a che il suo sostituto non sarà deciso, bisogna far veloci. Il comitato di direzione dei Tory, il 1922 che tutto decide, rinnoverà il proprio consiglio in un’elezione interna lunedì e già per mercoledì prossimo vuole cominciare le votazioni per le primarie, che nella prima selezione sono appannaggio dei deputati e nella fase finale della base del partito (circa 450 mila iscritti decideranno il prossimo premier britannico). Le candidature si stanno formalizzando e poiché siamo in tempi di guerra (gli ucraini sono stati gli unici a dispiacersi della dipartita del loro Johnson: nel resto del mondo c’è stato un evidente sollievo) le prime e anche le più accreditate nelle frettolose rilevazioni di queste ore hanno un forte profilo internazionale, come il ministro della Difesa Ben Wallace o come Tom Tugendhat, che ha combattuto in Iraq e in Afghanistan e che scrisse un saggio sul costo dell’inazione internazionale (si riferiva alla Siria) con Jo Cox, la deputata laburista uccisa da un suprematista nel 2016.
Per quanto l’Ucraina sia preoccupata di aver perso un alleato come Johnson (ha appoggiato sul logo delle ferrovie il ciuffo biondo), la sua difesa contro la Russia è una delle rare questioni bipartisan nel Regno Unito. E’ il futuro del paese il problema. I Tory vogliono fare veloci, archiviare il premier inappropriato, poco serio e poco competente che non volevano più, e ricominciare. C’è sempre un senso di ripartenza dopo scossoni come questi desiderati per molti mesi, ma c’è anche un senso di spaesamento: ricominciare cosa, e come? Simon Kuper, giornalista del Financial Times che ha di recente pubblicato un libro su Oxford e i conservatori (lui arrivò all’università quando Boris Johnson si era appena laureato, il libro si intitola “Chums”) è molto duro nei confronti del premier ma anche del Partito conservatore che “ha la responsabilità di aver scelto Johnson pur conoscendolo” e che ha deciso di “giocare con la rabbia” interna, esterna, nazionale, ritrovandosi oggi con questa prospettiva: “Nel 2025, il salario medio sarà più basso di quello del 2008”, dice Kuper. C’entra la Brexit, moltissimo, ma molti parlano del decennio perduto del Regno Unito, ed è stato un decennio di dominio conservatore. Buona parte dell’erosione della ricchezza britannica è imputabile alla Brexit, che Johnson ha sostenuto, negoziato, portato a termine e infine malgestito, ma quasi nessuno ha idee né più chiare né diverse da quelle del premier.
Allo stesso modo, la politica-cardine di Johnson, il livellamento delle diseguaglianze sia geografiche sia di opportunità, è la ragione per cui gli elettori nel 2019 votarono i Tory in grande maggioranza ma è anche l’unica proposta, peraltro inattuata, oggi presente nel partito. I conservatori hanno deciso di rimuovere il loro premier per una questione morale ma si ritrovano a dover gestire un declino che non sanno governare da molto tempo, e non hanno nemmeno, per ora, una figura forte per rilanciarsi. Rishi Sunak, ex cancelliere dello Scacchiere che con le sue dimissioni ha dato via alla rivolta, si è candidato ieri alla successione con lo slogan: ricostruire la fiducia. Molti Tory sperano di tornare com’erano prima di Johnson, che da tempo lavorava in modo quasi esclusivo alla propria sopravvivenza, ma per trovare una strategia per far tornare prospero un paese che ha un reddito medio inferiore a quello dei suoi vicini, ha la crescita più bassa del G7 e la diseguaglianza più alta del nord Europa ci vorrà qualche ambizione in più.