Il reportage
La rivolta giovane e ordinata che vuole la normalità in Sri Lanka
I singalesi entrano nell'ufficio del primo ministro e occupano la televisione pubblica. Il palazzo presidenziale preso d'assalto sabato è diventato una tappa per chi vuol vedere lo sfarzo della dinastia politica che ha lasciato l’isola senza soldi
Colombo. Avvolti nella bandiera nazionale dov’è raffigurato il leone con la spada, premono per ore contro lo schieramento di esercito e polizia antisommossa schierati a difesa dell’ufficio del primo ministro dello Sri Lanka. Dopo le imponenti manifestazioni dello scorso fine settimana, questo palazzo bianco in stile coloniale britannico era l’ultima tra le più importanti sedi istituzionali di Colombo a non essere ancora stata occupata da chi da mesi protesta contro un governo che ha portato il paese alla bancarotta.
Mentre il fumo denso dei lacrimogeni invade Flower Road – zona di ambasciate e di ville con giardino degli srilankesi più ricchi – migliaia di studenti universitari e monaci buddhisti, contadini e impiegati di tutti i gruppi etnici di questo frammentato paese dell’Asia meridionale scandiscono aragalaya: la parola singalese che si è trasformata in un appello alla rivolta contro l’élite politica del paese.
A un certo punto però i soldati abbassano i fucili, nella rete si apre un passaggio e migliaia di persone sciamano prima nel giardino e poi fino all’interno di questa a villa a due piani nel cuore di Colombo, occupando le stanze che fino a ieri avevano ospitato le riunioni del governo e le visite di leader stranieri.
“I palazzi del potere sono tornati al popolo”, urla uno dei manifestanti in mezzo alla calca che si è creata nei corridoi. Come era già successo sabato scorso, quando le proteste dello Sri Lanka era arrivate dentro il palazzo presidenziale, l’atmosfera è pacifica e festosa: nessuno si lascia andare al vandalismo, qualcuno raccoglie le bottiglie di plastica lasciate per terra, e gli agenti di polizia che lasciano il palazzo vengono accolti dagli applausi. Anche se molti sono zuppi dopo essere stati colpiti dagli idranti, è come se avessero già dimenticato la dura battaglia che c’è stata per le strade fino a un attimo prima.
Negli stessi istanti altri manifestanti occupano la televisione pubblica – che sospende le trasmissioni – mentre in serata si tornano a usare i lacrimogeni contro un gruppo di persone intorno al Parlamento.
Anche se le proteste contro la peggiore crisi economica dello Sri Lanka dall’indipendenza non hanno un leader riconosciuto – “Le opposizioni sono state annichilite negli anni dei Rajapaksa”, dicono tutti nella capitale – sono però certamente ben organizzate. E’ un rigido servizio d’ordine tirato su in fretta dagli universitari che vigila sulle migliaia di srilankesi che si sono messi in coda sul lungomare di Colombo per poter entrare nel palazzo presidenziale e dare un’occhiata a come viveva la dinastia politica che ha lasciato l’isola senza più soldi.
“E’ uno choc”, confida appena uscita la ventenne Premitha, “in vita mia non ho mai visto uno sfarzo simile”. Per molti l’occupazione delle sedi istituzionali dello Sri Lanka è diventata l’occasione per una visita a edifici carichi di storia, ma che sono sempre chiusi allo sguardo del pubblico: salgono in silenzio la grandiosa scala centrale con la guida rossa, immortalano con lo smartphone dipinti e arredi, scattano un selfie nelle stanze del potere. Intorno cartelli in singalese e tamil ammoniscono che quei palazzi “sono pagati con le nostre tasse” e devono essere rispettati. “Dobbiamo eliminare questa minaccia fascista”, aveva detto poco prima quello che dovrebbe essere l’attuale leader, Ranil Wickremesinghe, annunciando la legge d’emergenza e il coprifuoco nella capitale.
Visto come un fedele alleato del clan politico che ha guidato lo Sri Lanka negli ultimi due decenni, solo un paio di mesi fa Wickremesinghe è tornato a occupare il posto di primo ministro e ora è anche l’uomo che ha preso la presidenza ad interim: una scelta inaccettabile per chi protesta per le strade di Colombo. Ieri l’isola si è svegliata con la notizia che qualche ora prima il presidente Gotabaya Rajapaksa aveva lasciato lo Sri Lanka a bordo di un aereo militare con destinazione le vicine Maldive: per un leader che ha costruito popolarità sull’islamofobia, suona come la nemesi perfetta. Dopo la fuga e le dimissioni di Rajapaksa, la Costituzione dello Sri Lanka però parla chiaro: deve essere il primo ministro ad assumere la presidenza e a guidare la transizione. “Non è difficile uscire da questo stallo”, dice un manifestante. “Basta che anche il primo ministro firmi una lettera di dimissioni”.