logistica occidentale
Non basta inviare armi a Kyiv, serve evitare che finiscano in mani sbagliate
Se i rifornimenti ucraini finissero sul mercato nero sarebbe un grande vantaggio per i russi e un potenziale ostacolo alla sicurezza europea. Rischi e precauzioni
I video e le foto dei volontari ucraini che, prima del 24 febbraio, si addestravano con le armi di legno hanno reso chiara sin da subito la grande sproporzione di equipaggiamento militare tra gli invasori russi e i resistenti ucraini. Un altro grande vantaggio di Mosca, oltre alla quantità di armi, è stata ed è ancora oggi la dislocazione delle armi a disposizione. Putin, con la scusa iniziale dell’esercitazione militare, all’inizio del conflitto aveva posizionato le proprie lungo il confine ucraino mentre Kyiv ha dovuto attendere di riceverle, dopo mille tentennamenti, da luoghi lontani migliaia di chilometri.
La decisione degli Stati Uniti e dei paesi dell’Unione europea di non imporre una no-fly zone sul territorio ucraino ha dato a Mosca un ulteriore vantaggio: mantenere una superiorità aerea sui cieli ucraini e, quindi, poter intercettare i convogli di armi provenienti dai paesi occidentali che attraversano il paese da ovest verso il Donbas e il resto del fronte orientale. Nonostante questi tre vantaggi l’esercito russo oggi avanza molto lentamente e subisce i colpi dei lanciarazzi mobili Himars inviati in Ucraina da Washington. Se questo è possibile è grazie agli esperti di logistica presenti nei ranghi militari occidentali che oggi sono impegnati non soltanto a rifornire di armi i militari ucraini, ma cercano anche di mantenere il controllo sulle armi inviate, di modo che non finiscano sul mercato nero o in mano a gruppi criminali o terroristi.
Per ora gli aiuti militari inviati a Kyiv dai paesi occidentali sono stimati in una cifra che si aggira attorno ai 10 miliardi di dollari, ed è destinata a crescere nei prossimi mesi. Il rischio che una parte di queste armi possa finire nelle mani sbagliate è fisiologico, per questo, stando a quanto ha scritto il Financial Times, alcuni paesi della Nato stanno tenendo colloqui con il governo di Volodymyr Zelensky per creare un sistema di controllo il più efficace possibile. Evitare il contrabbando di armi fuori dal paese (lo ha detto anche Bonnie Denise Jenkins, sottosegretario statunitense per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale) serve a non sprecare risorse, a poter fare stime precise sull’andamento del conflitto ucraino, ma anche a evitare di rifornire gruppi criminali o paramilitari che potrebbero minare la sicurezza europea.
In risposta a queste preoccupazioni Kyiv sta mettendo a punto un sistema per il monitoraggio e il tracciamento degli armamenti che prevede, come ha detto Yuriy Sak (il consigliere del ministro della Difesa ucraino), che: “qualsiasi movimento di armi in Ucraina o fuori dal paese – quando tale movimento è necessario per le riparazioni – è monitorato e supervisionato molto attentamente non solo dall’Ucraina ma anche dai nostri partner internazionali”. C’è però un limite a quanto precisamente si può rendere conto della posizione degli equipaggiamenti militari, per tre ragioni: la prima ha a che fare con la velocità con cui si muovono le armi sul fronte. L’Ucraina ha meno armi della Russia, ma sono mediamente più precise e la sua strategia, quindi, è quella di muoverle in continuazione per renderne più difficile l’individuazione.
La seconda ragione è che, in un conflitto come quello ucraino, le informazioni sugli armamenti – la loro quantità, tipologia e posizione – sono particolarmente delicate, e proprio per questo diffuse il meno possibile. La terza ragione ha a che fare con l’organizzazione militare ucraina che, a differenza del centralismo russo, prevede un alto grado di autonomia per i singoli battaglioni. Questa autonomia permette un dinamismo che, per il momento, ha dato ottimi risultati ma che implica anche alcune difficoltà nel rendere conto, in tempo reale, della posizione e dell’impiego delle armi. In passato è già successo che quantità significative di equipaggiamenti militari finissero proprio in mano a coloro che, le coalizioni occidentali, si erano impegnate a combattere. In Afghanistan, per esempio, i talebani hanno ottenuto visori notturni, humvee e armi di precisione, tanto che le forze speciali sembrano ormai la copia di quelle occidentali. Esiste anche il rischio concreto di fornire, insieme agli armamenti, anche informazioni di valore sulle tecnologie militari occidentali: i droni che l’Iran starebbe per fornire a Mosca (centinaia, secondo Jake Sullivan) sarebbero anche il frutto di cosa Teheran ha potuto capire dai droni americani abbattuti negli ultimi anni. Sono rischi che bisogna assumersi, insieme al dovere di aiutare un paese invaso.