punti di vista
Attaccando l'Ucraina, Putin ha copiato più da Hitler che dal Kaiser
Perché l'invasione russa è più simile al secondo conflitto mondiale e perché i realisti sbagliano nell'essere cauti sul sostegno a Zelensky
Nelle prime pagine del suo Il secolo breve Eric Hobsbawm riferiva la “domanda, mossagli da un intelligente studente americano, se la locuzione ‘Seconda guerra mondiale’ significasse che c’era stata anche una ‘Prima guerra mondiale’”. Credo che in Italia sia davvero difficile trovare qualcuno, giovane o meno giovane, che non sappia che vi sono state due guerre mondiali. Tuttavia temo che molti, quando ragionano sulla guerra russo-ucraina, facciano implicitamente confusione tra la Prima e la Seconda. Provo a spiegarmi.
C’è un filone di pensiero – esperti, intellettuali, semplici osservatori di ciò che accade – che ritiene che noi italiani, e più in generale l’Unione europea, l’occidente democratico, dovremmo valutare con maggiore freddezza e realismo i nostri interessi e il grado di sostegno (in realtà, per chi fa questi discorsi, si tratta soprattutto del limite al sostegno) da fornire agli ucraini. Sono a volte gli stessi che hanno faticato all’inizio a individuare nella Russia il paese aggressore, dando una grossa parte di responsabilità nello scoppio del conflitto alla Nato che aveva “spaventato” Putin (quando addirittura non consideravano di fatto gli Stati Uniti di Biden come il vero responsabile della guerra).
Sono gli stessi che collegano la possibilità di negoziati e in prospettiva la fine della guerra soprattutto alla disponibilità di Zelensky ad accettare la perdita di una parte del territorio ucraino (ci fosse questa chiara disponibilità, si sottintende, la pace sarebbe cosa fatta). Si tratta di un punto di vista che spesso si definisce realista e anti ideologico, poiché ritiene si debba guardare ai nostri interessi senza farsi incantare da appelli in favore della democrazia e cose simili; qualcuno rivendica il carattere liberale di un simile punto di vista, in virtù di un certo realistico scetticismo che ha spesso caratterizzato i teorici del liberalismo.
Cosa c’entrano le due guerre mondiali? E’ presto detto. Il punto di vista realista (chiamiamolo per brevità così), che è ben presente anche in certi autorevoli commentatori europei e americani, contiene molte affermazioni degne di attenzione, non fosse però che si basa su un clamoroso equivoco: affianca inconsciamente la guerra russo-ucraina al primo conflitto mondiale, cioè a una tradizionale guerra tra potenze provocata da obiettivi di espansione territoriale e di accrescimento, da parte dei singoli stati, del proprio potere internazionale. A un certo punto, come si sa, quella guerra venne giustificata – soprattutto dalle potenze dell’Intesa – su basi ideologiche, come lotta della civiltà contro la barbarie (nei manifesti di propaganda i soldati tedeschi erano raffigurati come unni, con tanto di elmo con le corna). Ma era nata, e nella sostanza rimase sempre, una guerra dovuta a tradizionali interessi nazionali e nazionalistici.
La guerra attuale, invece, non somiglia affatto al primo conflitto mondiale, anzi per certi versi ne è agli antipodi e ricorda semmai il secondo. Assomiglia cioè a una guerra che venne scatenata nel 1939 da un programma di conquista hitleriano molto diverso rispetto alla tradizionale volontà di potenza della Germania guglielmina. Era un programma di conquista e di espansione che cercava – e in un certo momento parve vicino a raggiungere – il dominio dell’intero continente europeo. Aver sperato di ammansire Hitler, accettando almeno una parte delle sue richieste (l’Anschluss, i Sudeti), fu un errore colossale appunto perché il dittatore nazionalsocialista ragionava diversamente rispetto a un imperatore tedesco, a un cancelliere o a un generale guglielmino. Ragionava come un dittatore totalitario.
La guerra attuale assomiglia più al secondo conflitto mondiale che al primo perché certi metodi utilizzati oggi dalla Russia nella conduzione della guerra ricordano quelli della Germania nazionalsocialista (ma anche, con una evidente confluenza rosso-bruna, non poche caratteristiche della dittatura di Stalin): le uccisioni di civili inermi, le deportazioni e i campi di rieducazione, la negazione della stessa identità e cultura ucraine attraverso una fortissima manipolazione e falsificazione della storia, i bambini sottratti alle loro famiglie e soggetti a programmi di russificazione, l’uso politico della mancanza di grano, usato da Stalin contro gli ucraini nel 1932 e ora da Putin per colpire gli africani e provocare una sorta di “bomba” migratoria contro l’Europa.
La guerra attuale ricorda il secondo conflitto mondiale anche, e forse soprattutto, perché gli obiettivi iniziali di Putin, come qualcuno dei suoi scherani ha lasciato chiaramente intendere, non si limitavano affatto ai territori del Donbass e della Crimea: lo scopo strategico dell’aggressione all’Ucraina era la sua cancellazione come stato indipendente, nel quadro di una ricostituzione dell’antico spazio imperiale russo-sovietico che vede nell’Europa democratica il suo nemico per così dire inevitabile. Questo nella prospettiva di un nuovo ordine mondiale che marginalizzi l’odiato e moralmente corrotto occidente. Ma se le cose stanno così, come sembrerebbe alla luce delle dichiarazioni d’intenti e dei comportamenti effettivi che vediamo da parte russa, allora nessun realismo può essere davvero tale se continua ad attribuire all’autocrate di Mosca l’obiettivo di un limitato ingrandimento territoriale, nello stile appunto del primo conflitto mondiale.