diffidenza
In Sri Lanka è passata la sbornia delle infrastrutture cinesi
Il paese è pronto a chiedere aiuto ovunque per superare la crisi energetica che sta passando, ma la Cina continua a stare a guardare da lontano
Colombo. E’ ufficiale: Gotabaya Rajapaksa non è più il presidente dello Sri Lanka. Dopo una settimana in cui l’isola dell’Oceano Indiano ha vissuto in un totale caos istituzionale (e in pochi a Colombo azzardavano a dire con certezza chi ci fosse a guidare il paese) ieri lo speaker del Parlamento ha confermato di aver ricevuto la lettera di dimissioni dell’ultimo esponente ancora al potere della dinastia politica che negli ultimi due decenni ha dominato la vita dello Sri Lanka. Dopo le imponenti manifestazioni dello scorso fine settimana e la pacifica occupazione dei palazzi del potere di Colombo, Gotabaya Rajapaksa era fuggito prima alle Maldive – mossa azzardata per il governo di Malè: quella presenza minacciava di ricordare ai maldiviani il rischio di default che incombe anche sull’arcipelago – per poi volare a Singapore.
A questo punto, la transizione politica in Sri Lanka dovrebbe essere segnata. Come previsto dalla Costituzione, il primo ministro Ranil Wickremesinghe ha assunto la presidenza ad interim, mentre la prossima settimana il Parlamento voterà un nuovo presidente che sia espressione di un governo di unità nazionale. Anche se il partito ultranazionalista singalese dei Rajapaksa continua a godere di un’ampia maggioranza, a Colombo tutti scommettono che il nuovo presidente sarà Sajith Premadasa: leader dell’opposizione, una laurea alla London School of Economics, figlio dell’ex presidente Ranasinghe Premadasa ucciso in un attentato. “Sarebbe il meno peggio”, ammette un’anziana signora sul lungomare di Colombo dopo aver usato parole irripetibili contro l’intera classe politica del paese.
Al di là di chi guiderà lo Sri Lanka, il prossimo governo sarà chiamato a gestire i negoziati con il Fondo monetario internazionale per assicurare nuove linee di credito che consentano al paese di importare dall’estero il carburante e gli altri beni essenziali, facendo guadagnare credibilità agli occhi dei creditori internazionali per la ristrutturazione del debito. Anche se la Cina è il più grande creditore bilaterale dello Sri Lanka – secondo alcune stime circa il 20 percento del debito estero dell’isola – per il momento Pechino continua a rimanere alla finestra. “La Cina è pronta a collaborare con le istituzioni finanziarie internazionali e continuerà a svolgere un ruolo positivo nell’aiutare lo Sri Lanka ad affrontare le difficoltà, ad alleviare il suo debito e a realizzare uno sviluppo sostenibile”, ha detto laconico il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica popolare.
Vista la posizione strategica dell’isola al centro dell’Indo-Pacifico e delle principali rotte commerciali internazionali, nei palazzi del potere di Colombo si erano fatti l’illusione di contare di più. Dopo la fine brutale di un quarto di secolo di guerra civile nel 2009, una pioggia di prestiti e di investimenti ha trasformato il volto della capitale: l’enorme shopping mall Galle One affacciato sull’Oceano Indiano, l’allargamento del porto di Colombo, la Lotus Tower che con i suoi 350 metri domina il paesaggio urbano. Più a sud, la costruzione di un porto e di un aeroporto nel feudo elettorale dei Rajapaksa ad Hambatota. Se per anni l’India e le capitali occidentali guardavano con preoccupazione alle mosse di Pechino in Asia meridionale, ammonendo sul rischio di “trappole del debito”, in Sri Lanka questa sbornia di infrastrutture è stata accolta con ottimismo.
“La gente votava i Rajapaksa proprio perché promettevano di costruire porti, strade, aeroporti, ferrovie”, dice Nisansala per le strade di Colombo. Mentre molti paesi dell’Asia meridionale e del sud-est asiatico sono fortemente indebitati con la Repubblica popolare, ora le capitali della regione guarderanno con attenzione a cosa Pechino farà davanti alla bancarotta dello Sri Lanka.
A corto di carburante per far funzionare la sua economia, nelle scorse settimane il governo dello Sri Lanka si era anche rivolto a Vladimir Putin nella speranza di ottenere petrolio a prezzo di saldo. “Solo l’India ci sta aiutando”, dice però uno dei conducenti di taxi a tre ruote in fila da giorni a un distributore di benzina della capitale. Finora Delhi ha già concesso allo Sri Lanka prestiti e linee di credito per quasi 4 miliardi di dollari e i saltuari rifornimenti di carburante arrivano proprio dal grande vicino sull’altro lato del Golfo di Mannar. “Adesso”, ci spiega la giornalista indiana Saloni Srivastava, “la politica di Delhi è di tornare a mettere i vicini al primo posto”.
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