il caso
Il populismo di Amlo in Messico è un disastro completo
Più povertà, più femminicidi (non erano "colpa del neoliberismo"?) e una relazione schizofrenica con l'America
Roma. Eletto il primo luglio 2018, insediato il primo dicembre 2018, in carica fino al primo dicembre 2024, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, o Amlo come lo chiamano per brevità, si trova in un momento di bilanci. Marta Lagos, sondaggista e analista cilena, in una analisi sulle sinistre oggi al governo in America latina lo ha messo in una categoria a parte; rispetto alla “sinistra nuova” di Gabriel Boric in Cile e Gustavo Petro in Colombia; a quella “dittatoriale” di Nicolás Maduro in Venezuela, Daniel Ortega in Nicaragua, Díaz Canel a Cuba; “tradizionale” di Alberto Fernández in Argentina, Luis Arce in Bolivia, Xiomara Castro in Honduras. E gli ha dato una etichetta di “populista” per evidenziare la strana mescolanza tra un presidente di sinistra e la mania per un tipo di slogan che evoca piuttosto “destri” come Donald Trump e Jair Bolsonaro. Su tutti, un negazionismo no vax che portò Amlo a dire che il Covid si combatte “con la Varrgine di Guadalupe” e con “l’onestà”: salvo poco dopo ammalarsi pure lui, con gran parte del governo.
Ormai abbastanza oltre la metà del suo mandato, molti media si stanno concentrando su uno scenario complicato in cui ci sono indici di popolarità alta: attorno a un 65 per cento di approvazione anche se alle elezioni di metà mandato la coalizione presidenziale ha perso qualcosa. Ma l’economia è sull’orlo del precipizio, i narcos all’offensiva, e gli ultimi giorni hanno evidenziato come sia sempre più schizofrenico il rapporto del Messico con gli Stati Uniti.
All’inizio di giugno Amlo ha disertato il Vertice delle Americhe di Los Angeles, pur mandando il segretario agli Affari Esteri Marcelo Ebrard. Protestava per il mancato invito di Cuba, Venezuela e Nicaragua, che non era arrivato perché per gli Stati Uniti questi governi sono in flagrante violazione della Carta democratica interamericana. Il 21 giugno Amlo si è poi offerto come mediatore per il caso Julian Assange, estradato negli Stati Uniti. Il 4 luglio Amlo ha celebrato la festa nazionale americana dichiarando che, se i giudici avessero condannato Assange ci sarebbe stato da “fare una campagna per chiedere di smontare la Statua della libertà”. E poi il 12 luglio Amlo è andato in visita da Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti: si tratta di una mossa evidentemente poco coerente ma necessaria, che ha infatti disorientato molti commentatori. Se lo spagnolo País ha concluso ottimisticamente che l’incontro “rimarginava le ferite del Vertice delle Americhe”; se lo statunitense Washington Post ha titolato: “Amlo e Biden limano asperità”; se il magnate Carlos Slim ha celebrato l’evento “straordinario”, la tedesca Deutsche Welle ne ha tratta invece una impressione di “pura retorica e pochi risultati concreti”, e l’argentina Infobae ha insinuato che la stampa americana avesse prestato “poca attenzione alla visita di Amlo” proprio come conseguenza dello “sgarbo” fatto a Los Angeles.
In realtà, tra Stati Uniti e Messico continuano a esserci solidi interessi in comune. A parte punti specifici, come il fatto che il Messico ospita i colloqui (per ora arenati) tra governo e opposizione del Venezuela, Washington non vuole che un collasso economico butti oltre il confine milioni di emigranti, e ha la necessità che il governo messicano collabori nel contenere i narcos. Che in Messico l’inflazione sia in crescita continua da un anno fa un po’ parte della tendenza mondiale per pandemia e guerra, ma l’8,5 per cento attuale è un record, e anche i tassi di interesse stanno a un 10 per cento inusuale. Ma c’è poi un drammatico saliscendi dell’impiego informale: 55,5 per cento di impiego informale nell’ottobre 2018; 56,2 nel febbraio 2020; 48 nell’aprile 2020; 56,3 lo scorso dicembre; 55,6 ad aprile. Con il pil cresciuto a maggio di appena lo 0,1 per cento ma caduto a giugno dello 0,38, Moody’s e Forbes avvertono che la recessione americana travolgerà il Messico.
Quanto poi alla violenza, si mantiene a livelli tra i 33 mila e i 34.600 omicidi all’anno, che rendono il Messico il quarto paese per omicidi in cifra assoluta e il dodicesimo in cifra relativa. “I femminicidi sono colpa del neoliberalismo”, è una delle cose che Amlo ha detto. Ma con lui sono passati da 897 nel 2018 a 947 nel 2019, 948 nel 2020, 978 nel 2021, 310 solo tra gennaio e aprile. Sempre dall’inizio dell’anno sono stati undici i giornalisti assassinati, e almeno sette messicani su dieci nelle indagini rivelano di aver paura a vivere dove vivono.
Come fa allora Amlo a essere popolare? Sostanzialmente, perché ha smantellato parecchi programmi sociali e i soldi così recuperati li ha distribuiti direttamente ai cittadini, scrive il New York Times in una analisi secondo cui “López Obrador dice che la povertà è la sua priorità, ma le sue politiche danneggiano i poveri”. Che sono il 44 per cento dei messicani: 56 milioni di persone. Lo stesso governo riconosce che il 14 per cento dei bambini in età scolare ha abbandonato la scuola durante la pandemia: 5,2 milioni. In particolare, la soppressione del programmi che dal 2007 in 27 mila scuole elementari mantenevano 3,6 milioni di scolari a tempo pieno con pasti garantiti ha indotto molti bambini, costretti a tornare a casa a mezzogiorno, a seguire i genitori sul loro posto di lavoro.
Amlo ha detto che “c’era corruzione”, i critici hanno sostenuto che semplicemente non voleva mantenere una cosa inventata dai suoi predecessori. Le risorse sono state così destinate in gran parte ad aumentare le pensioni in blocco al di là delle differenze di reddito, e a finanziare ingenti piani di opere pubbliche definite da molti “cattedrali nel deserto”. Sono stati introdotti anche trasferimenti diretti ai più poveri non più vincolati, com’era prima, al fatto che le famiglie mandassero i figli a scuola o dal medico. Nel Chiapas, uno degli stati più poveri del Messico, il 45 per cento delle famiglie già beneficiarie del programma Prospera ha smesso di portare i bambini a fare le visite mediche periodiche.
Per provare a disinnescare questa bomba a orologeria oltre il confine, Biden ha garantito ad Amlo 40 miliardi di investimenti di imprese americane entro la fine del suo mandato, nel 2024. Ma stando a quanto è trapelato, avrebbe anche dato una mano decisiva per far catturare Rafael Caro Quintero, il “narco dei narcos”, fondatore del Cartello di Guadalajara, che era latitante dal 2013, e che è stato arrestato il 15 luglio. Gli Stati Uniti lo avevano nella loro lista nera dei dieci uomini più ricercati perché aveva sequestrato, torturato e assassinato nel 1985 l’agente speciale della Dea Enrique Kiki Camarena. Sempre lo stesso anno aveva ucciso John Clay Walker e Alberto Radelat, due cittadini statunitensi scambiati a loro volta per agenti della Dea. Condannato a 40 anni, nel 2013 fu liberato da un tribunale statale secondo cui “era stato giudicato indebitamente”. Subito dopo un tribunale federale emise un ordine di arresto, ma nel frattempo Caro Quintero aveva già fatto in tempo a rendersi introvabile.
Secondo quanto rivelato dal giornale messicano El Universal, subito prima di vedersi con Biden, Amlo avrebbe fatto una colazione di lavoro con la vicepresidente americana, Kamala Harris, che gli avrebbe detto a sorpresa: “La Dea ha localizzato Caro Quintero, sta nel municipio di Choix”. “Operazione Leggenda” era stata chiamata dalla Dea l’intera missione. Kamala avrebbe poi rassicurato Amlo sul fatto che la sovranità messicana non era stata violata. Secondo molti analisti, anche le autorità messicane sapevano benissimo dove stava il Caro Quintero, ma facevano finta di niente per evitare guerre con i narcos. Preso alla sprovvista Amlo avrebbe risposto alla Harris: “Va bene, ci penserà la Guardia nazionale”, una specie di arma dei carabinieri che il presidente aveva messo nel suo programma e che ha istituito nel 2019. “No, né Guardia nazionale né esercito. Sappiamo che sono collusi”, gli avrebbe detto la vicepresidente invero poco diplomaticamente: “Usate i marines”. Cosa che è stata in effetti fatta, con successo.
Non si sa se gli Stati Uniti hanno fatto trapelare apposta questa conversazione e soprattutto il loro ruolo nella cattura, ma Amlo ci è rimasto male. “La Dea non ha avuto alcuna partecipazione diretta”, ha detto visibilmente imbarazzato. “Si chiedono informazioni in alcuni casi, in questo no”. E poi: “Ho parlato di altri affari, non tratto queste cose. Questi sono accordi che hanno a che vedere con interessi nazionali. Un presidente del Messico non può andare a trattare con il presidente di un altro paese l’affare di un presunto delinquente”.
In contemporanea, Amlo ha però fatto sapere di aver lasciato a Bidem una lettera sul caso Assange – che, tecnicamente, dal punto di vista degli Stati Uniti “un presunto delinquente” lo sarebbe.