Il fronte anti Europa
Il viaggio di Putin a Teheran e l'iranizzazione della Russia
Il Cremlino e l'Iran condividono la stessa posizione anti-Occidente: Mosca guarda al modello iraniano economico che raggira le sanzioni. Così facendo però diventa meno prospera, sicura e libera rispetto a prima della guerra
Vladimir Putin è volato a Teheran per un vertice sul conflitto siriano con il presidente iraniano Ebrahim Raisi e il turco Recep Tayyip Erdogan, ma a rendere importanti le discussioni sono stati i temi legati alla guerra in Ucraina e ai rapporti di forza in Medio Oriente, a tre giorni dalla missione di Joe Biden in Israele e Arabia Saudita in cui è stata riaffermato l’impegno americano nella regione per non cedere spazio ad altre potenze.
Iran e Russia oggi hanno in comune una postura da strenui nemici dell’Occidente, pagata a caro prezzo con sanzioni e isolamento diplomatico. Di conseguenza appare naturale che i due paesi si avvicinino rafforzando la cooperazione economica, politica e militare. Putin quest’anno ha incontrato Raisi già due volte e dichiarato che i legami Mosca-Teheran hanno un “carattere strategico davvero profondo”. Nel 2021 il commercio bilaterale è aumentato dell’81 per cento rispetto all’anno precedente raggiungendo il record di 3,3 miliardi di dollari, con Raisi che promette di aumentarlo fino a 10 miliardi. Mosca promuove l’adesione iraniana alla “Organizzazione per la cooperazione di Shanghai” guidata da Russia e Cina, mentre l’Iran ha chiesto di entrare nel gruppo dei Brics.
Ma ci sono anche delle crepe, significative: Mosca e Teheran hanno interessi in contrasto, con la Russia che ha rapporti stretti e importanti con paesi che l’Iran considera nemici assoluti come Israele e Arabia Saudita, o con cui ha relazioni molto negative come l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, le sanzioni hanno messo la Russia in diretta competizione con l’Iran in quel che si può definire “il mercato del petrolio proibito”, che rappresenta la metà dei proventi delle esportazioni della Repubblica islamica.
Dopo le sanzioni il greggio russo viene comprato in larghissima misura da Cina, India e altri paesi asiatici a prezzi molto scontati, obbligando l’Iran a vendere a prezzi ulteriormente ribassati e ridurre i guadagni in un mercato che dominava, coltivato nel tempo per via del suo status decennale di produttore iper-sanzionato. Mosca infatti guarda con molta attenzione al modello iraniano di economia che aggira e sopravvive alle sanzioni, dove la popolazione diventa sempre più povera mentre i “rich kids of Tehran” – i figli dei membri del regime – continuano a comprare i costosi prodotti dell’alta moda occidentale esibendoli su Instagram dai loro iPhone ultimo modello.
Se la Russia stia diventando “un gigantesco Iran dell’Eurasia” se lo sono chiesti l’editorialista del Financial Times Gideon Rachman e il ricercatore russo Alexander Gabuev del Carnegie Endowment for International Peace, che scrive abitualmente sul Kommersant (il principale giornale del mondo economico russo). Secondo Gaubev, il dramma è che la versione “iranianizzata” della Russia sarà molto meno prospera, sicura e libera del paese che avrebbe potuto essere senza la guerra, nonostante la corruzione, l’autoritarismo e gli altri aspetti del putinismo presenti prima dell’invasione. “La tragica ironia è che i due decenni sotto Putin hanno offerto alla Russia opportunità uniche. La maggior parte è stata persa, ma gli ultimi 20 anni sono stati comunque uno dei periodi più felici della storia russa”, conclude Gaubev.
Nelle prime settimane dell’invasione russa lo storico Hal Brands aveva delineato tre scenari per una Russia impantanata nella guerra, il più pessimista era la trasformazione in una “Teheran sul Volga”, uno grande “stato canaglia” dotato di armi nucleari, estraneo al sistema occidentale, che compensa ogni sua debolezza con una maggiore belligeranza perseguendo programmi di sabotaggio contro Europa e Stati Uniti. Una Russia che si propone come portatore di una rivoluzione contro l’Occidente, che fa proselitismo e cerca alleati nel resto mondo e all’interno dei paesi nemici per alimentarne la destabilizzazione. Dopo cinque mesi di guerra è chiaro che il Cremlino ha scelto questa strada, dove porterà è tutto da vedere.