L'inverno senza gas riapre in Germania la discussione sul nucleare
Si moltiplicano gli appelli, dentro e fuori la Germania, affinché il governo ci ripensi e decida un allungamento della vita delle tre centrali destinate allo spegnimento entro il 31 dicembre
Nelle ultime settimane le principali associazioni datoriali tedesche hanno lanciato l’allarme: senza il gas russo quest’inverno gran parte delle attività del comparto automobilistico, chimico e dei macchinari sarà costretta a fermarsi. Anche qualora il flusso attraverso il gasdotto Nord Stream 1 tornasse regolare, i prezzi elevati a cui viene scambiato il gas oggi condannerebbero alla chiusura centinaia di imprese. Agli occhi del ceto produttivo la reazione del governo federale è parsa per ora non del tutto convincente.
Lo scorso giugno, la coalizione tra socialdemocratici, verdi e liberali ha presentato un piano per affrontare l’emergenza che include il ricorso massiccio alle centrali a carbone (in origine tutte destinate alla chiusura entro il 2038) e a una maggiore importazione di gas naturale liquefatto, aiuti diretti alle imprese e ai consumatori finalizzati al risparmio energetico ed eventuali razionamenti, ove se ne presentasse la necessità.
Solo negli ultimi giorni, invece, è tornato in auge il dibattito sul nucleare. Mettere in discussione il phase-out graduale entro il 2022, deciso dalla coalizione giallo-nera tra liberali e democristiani guidata da Angela Merkel nel 2011, all’indomani dell’incidente di Fukushima, è considerato un tabù soprattutto per gli ecologisti che, a Berlino, controllano ora tanto il ministero per l’Economia e la protezione del clima quanto quello dell’Ambiente. Nonostante il pressing dei liberali dell’Fdp e dell’opposizione cristiano-democratica e cristiano-sociale (Cdus/Csu), il titolare del dicastero economico, Robert Habeck, ha smentito che il governo federale stia per tornare sui propri passi e deliberare un allungamento della vita delle tre centrali destinate allo spegnimento entro il 31 dicembre.
Allo stato attuale, fa dunque fede il documento congiunto dei due ministeri a guida ecologista pubblicato il 7 marzo scorso, secondo cui, accanto a problemi di natura autorizzatoria e inerenti alla conduzione dei controlli di sicurezza, l’energia eventualmente prodotta dai tre reattori non farebbe la differenza, dal momento che il combustibile nucleare non potrebbe essere ordinato dall’oggi al domani, ma sarebbe disponibile soltanto per l’estate 2023. Alla domanda più recente se potesse escludere che, con i verdi in maggioranza, il governo federale deliberi un’estensione del ricorso all’atomo, il ministro non ha però risposto. Di là dalle dichiarazioni sul nucleare come tecnologia ad alto rischio e agli impegni del nuovo esecutivo per la lotta ai cambiamenti climatici, nemmeno Habeck sembra volerne fare una questione ideologica, ma soltanto pratico-operativa. Lo ha confermato lunedì mattina anche una portavoce del gabinetto federale, secondo la quale Berlino si riserva di decidere alla luce dei risultati di un secondo e più rigoroso stress test sulla sicurezza energetica del paese dopo quello effettuato in primavera.
Nel frattempo, se è vero che le società di gestione E.on, EnBW e RWE hanno fatto sapere che il dibattito avviato è del tutto tardivo e per loro vale soltanto il quadro normativo vigente, si moltiplicano gli appelli, dentro e fuori la Germania, affinché la coalizione, divisa al suo interno, ci ripensi e permetta ai reattori Isar 2, Emsland e Neckarwestheim 2 di restare attivi anche dopo il 31 dicembre. Veronika Grimm, una dei “cinque saggi” che consigliano l’esecutivo in materia economica, ha invitato verdi e socialdemocratici a rivedere la propria strategia, considerato che tenere le centrali nucleari collegate alla rete consentirebbe di evitare un ricorso eccessivo al carbone, oltreché di stabilizzare i prezzi, mentre si attende di poter sviluppare nuove centrali a gas e costruire rigassificatori.
Del resto, a mettere in guardia da un eccessivo affidamento al gas, anche se diverso da quello russo, è stata non più tardi dell’altro ieri anche l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) che, per il tramite del proprio direttore, Fatih Birol, ha ricordato come il piano per ridurre i rischi autunnali derivanti dal blocco delle forniture russe dovrebbe includere anche una valorizzazione della fonte di energia nucleare.