Ai Comuni e al Senato
Londra e Roma, i saluti sprezzanti dei due leader rimossi dai partiti di governo
Tra 47 giorni si saprà il nome del prossimo premier inglese. Il messaggio premonitore di Johnson: guardate lo specchietto retrovisore, i traditori si incolonnano. E poi: "Hasta la vista, baby", come Terminator
Quando Mario Draghi è arrivato in Senato ieri mattina c’era aria di futuro, le chiacchiere erano da fine crisi, il paziente italiano sembrava guarito, e chissà se poi si era davvero ammalato. Nessuno, non i senatori ma nemmeno i commentatori-veterani che si aggiravano a loro agio per i corridoi, avrebbe detto che il discorso del presidente del Consiglio sarebbe stato definitivo: il suo sprezzante saluto.
Poche ore dopo Boris Johnson è entrato ai Comuni inglesi per il suo ultimo Question Time – anche lì Aula piena, il solito caos di quell’Aula in cui borbottii e urli sono un rito, i Tory particolarmente eccitati e plaudenti, cosa bizzarra visto che soltanto dieci giorni fa avevano scritto lettere tremendissime per cacciare Johnson da Downing Street – e ogni cosa era apparecchiata per i saluti, tracotanti ma previsti.
Le due crisi europee, che fanno gioire Vladimir Putin perché ogni instabilità è per lui brutalmente preziosa, si sono così ribaltate ieri, e la confusione s’è insinuata nelle stanze del Senato italiano, dove il consiglio di Johnson, “guardate sempre lo specchietto retrovisore” perché le serpi si incolonnano veloci, è suonato all’improvviso premonitore. Di lì a poco si sarebbe consumato il crollo di Mario Draghi, il Senato ha perso l’aria giuliva della mattina, musi lunghi: s’è fatta seria.
S’è molto discusso del trattamento diverso riservato a Draghi e Johnson, il primo invocato da tutti come il salvatore irrinunciabile, e il secondo scaricato in fretta, con sollievo, trattando anzi le sue resistenze a lasciare il potere come un residuo trumpiano. I sovranisti dicono che tutti si permettono di interferire negli affari italiani perché siamo un paese succube dell’Europa e dei mercati, molti altri pensano piuttosto che nel Regno Unito non cambierà poi molto, anche perché il nuovo premier è il frutto di una selezione interna al Partito conservatore, mentre in Italia cambia tutto – i tempi, quelli, sono uguali per tutti: guerra, inflazione, costo della vita insostenibile, pure questo caldo infernale che manda in tilt gli inglesi come poco altro.
Tra quarantasette giorni il Regno Unito avrà il suo nuovo premier: o l’ex cancelliere Rishi Sunak o il ministro degli Esteri Liz Truss, che all’ultima votazione ieri ha spodestato al secondo posto nelle preferenze dei deputati conservatori Penny Mordaunt, ex ministro della Difesa che ha avuto il merito di portare un po’ di spontaneità e di liberalismo per i diritti nel confronto tra i conservatori. Ci chiederemo ancora a lungo per quale ragione i Tory hanno applaudito il premier appena spodestato che diceva ai Comuni “mission accomplished” e rivendicava di aver fatto tutto quello per cui era stato eletto, così come gli applausi al Senato sono stati spesso incomprensibili, anche se la motivazione appariva più chiara: non è colpa mia, non sono io che butto giù il governo-salvezza, è stato Draghi, è stato Conte, è stato Salvini.
Il fatalismo forse è il male di queste crisi, i partiti si spingono troppo in là e non sanno tornare indietro, i capi di governo se ne vanno beffardi: ci rimpiangerete. Johnson, a differenza di Draghi, sapeva che ieri era l’ultima volta e non ha perso l’occasione: ha detto di stare attenti ai traditori, ha detto che non segue la corsa per la sua successione, ha detto “Hasta la vista, baby”, come Terminator, il rimpianto è tutto vostro.