dimenticati
In Myanmar non c'è limite all'orrore: condannati a morte quattro oppositori
La repressione contro gli uomini e le donne della resistenza alla giunta militare che ha preso il potere in Birmania a febbraio 2021 aumenta sempre più. E si fa ancora più violenta
"Non preoccupatevi per me. Ognuno deve accettare il proprio karma. In questi giorni sto meditando. Vivo seguendo il mio dhamma". Secondo voci uscite dall’infame prigione di Insein, da decenni l’inferno degli oppositori politici birmani, questo sarebbe stato l’ultimo messaggio rivolto ai suoi familiari di Ko Jimmy prima di essere impiccato, tra venerdì 23 e lunedì 25 luglio. Lo avrebbe detto alla madre e alla sorella cui era stato concesso d’incontrarlo. Non di persona, solo via Zoom. Per un’orrenda beffa, sembrava che il momento dell’esecuzione fosse ancora lontano. Ko Jimmy, il signor Jimmy, soprannome di Kyaw Min Yu, 53 anni, uno dei più noti attivisti birmani, ha vissuto ed è morto seguendo un karma, un destino, segnato dal dharma, la legge morale. Con lui, sono stati impiccati altri tre martiri, questo il termine corretto per definirli, della resistenza birmana che si oppone alla criminale giunta militare che ha preso il potere nel febbraio del 2021. Il più famoso è Phyo Zeya Thaw, 41 anni, parlamentare della National League for Democracy di Aung San Suu Kyi, un ex artista hip hop, fondatore del gruppo underground Generation Wave. Meno noti i due attivisti Hla Myo Aung and Aung Thura Zaw.
Le accuse a loro carico erano di terrorismo e, per gli ultimi due, dell’assassinio di un collaborazionista e informatore della giunta, uno di coloro che con le loro delazioni hanno condannato migliaia di compatrioti. Secondo la Assistance Association for Political Prisoners, che tiene la triste contabilità di assassinati, incarcerati, torturati dai militari, dalla data del golpe sono state arrestate 14847 persone, 2114 uccise, 117 condannate a morte. Le esecuzioni dello scorso fine settimana, le prime dal 1988, segnano l’ennesima escalation in un colpo di stato che non pone limite all’orrore. Sin dall’inizio, infatti, la giunta del generale Min Aung Hlaing ha utilizzato ogni mezzo per instillare il terrore nella popolazione. Ed è per questo che non si ha una data o un luogo preciso dell’esecuzione e che, secondo voci non confermate, i loro corpi sarebbero stati cremati in un luogo sconosciuto affinché non potessero essere celebrate le cerimonie funebri di rito.
Quelle esecuzioni segnano anche una nuova, fatidica data nel ciclo perverso di colpi di stato e dittature iniziato nel 1988. Fu allora che le manifestazioni studentesche contro l’allora dittatura del generale Ne Win furono soffocate nel sangue. La vita di Ko Jimmy sembra materializzare tutti gli incubi e i sogni di quei decenni: veterano della cosiddetta 88 Generation, da allora ha passato in carcere 21 anni, dall’88 al 2005 e dal 2007, data della cosiddetta rivolta di zafferano, dal colore delle tonache dei monaci che ne furono protagonisti, al 2012 quando sembrò che la Birmania si stesse avviando in una road map verso la democrazia. È un parallelo con la vita di Aung San Suu Kyi: anche lei ha trascorso gran parte della sua vita agli arresti e quando sembrava che finalmente potesse veder realizzato il suo sogno di una Birmania libera, è stata nuovamente arrestata, poi trasferita in un carcere “comune”, sottoposta a processi farsa, in attesa di sentenze che potrebbero portare la sua condanna a 150 anni.
La repressione della giunta nei confronti degli oppositori, intanto, sta diventando sempre più violenta, quasi a compensare i problemi creati dalle milizie etniche. Su quel fronte, però, i generali possono contare sull’attivo sostegno della Russia, che sembrava rallentato per l’impegno in Ucraina ma che è attivamente ripreso negli ultimi tempi. Nella recente visita in Russia del generale Hlaing i militari della delegazione hanno incontrato il direttore della Rosoboronexport, una delle maggiori società fornitrici di armamenti e nello stesso periodo sono stati consegnati i primi due esemplari di Su-30SME ed è arrivato in Birmania un pool di piloti e tecnici russi. La presenza russa in Birmania, paese che può rivelarsi strategico nei piani di espansione eurasiatica di Putin, inserendosi come nuovo giocatore tra le vie della seta cinesi e i programmi indiani in Asia del Sud, è ulteriormente facilitata dall’assenza americana nell’area. Secondo molti analisti, basterebbe che una minima frazione del sostegno dato da Washington all’Ucraina fosse concesso alle forze dell’opposizione birmana per rovesciare la giunta. Per Michael Martin, del Center for Strategic and International Studies "basterebbero 50, 100 missili Stinger e qualche migliaio di fucili d’assalto M4".