Il format russo
La Cina non vuole la Pelosi a Taiwan. Biden chissà
La speaker della Camera americana non ha ancora confermato la visita, ma Pechino ha già detto che ci saranno conseguenze, come a dire: è una provocazione. La Cia avverte che la minaccia è alta. La Casa Bianca e il Pentagono sono cauti, i repubblicani li criticano
La visita annunciata da Nancy Pelosi, speaker della Camera americana, a Taiwan per il prossimo mese sta facendo discutere e litigare tutti: cinesi, democratici, repubblicani, il Pentagono, la Casa Bianca. I cinesi, come sempre, sono i più diretti: sabato il Financial Times aveva citato delle fonti dentro la Casa Bianca che definivano gli avvertimenti di Pechino ben “più duri” delle minacce che arrivano ogni volta che gli americani manifestano il loro sostegno a Taiwan. Poi il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha confermato: “Ci stiamo seriamente preparando”. Diplomaticamente o militarmente? “Se gli Stati Uniti sono intenzionati ad andare avanti per la loro strada, la Cina adotterà misure forti per rispondere e contrastarli con risolutezza. Gli Stati Uniti dovrebbero essere ritenuti responsabili di eventuali gravi conseguenze”. Tradotto: la visita della Pelosi – storica: non accade dal 1997 – è considerata una provocazione dalla Cina, che si sente in diritto di reagire.
Il format russo risuona con una certa evidenza non soltanto per la cosiddetta provocazione. La settimana scorsa il direttore della Cia, Bill Burns, ha detto a un incontro dell’Aspen Security Forum che il problema non è più “se la Cina vorrà riprendere il controllo di Taiwan”, ma “quando” lo farà. Burns ha anche spiegato le lezioni ucraine apprese da Pechino: “Non si ottengono vittorie rapide e decisive se si ha una forza inferiore”; “devi ammassare una forza schiacciante se contempli una vittoria per il futuro”; “devi controllare lo spazio dell’informazione”; “devi fare tutto il necessario per sostenere l’economia contro eventuali sanzioni”. L’intelligence americana sta quindi dicendo: la Cina si prepara, proprio come all’inizio dell’anno diceva che la Russia si stava preparando – allora aveva anche le immagini degli spostamenti militari e i dettagli dei numeri, ma comunque gli europei pensavano che Washington fosse eccessivamente allarmista, “isterica” anche.
Nonostante il presidente Joe Biden abbia detto senza ambiguità che gli Stati Uniti “sono pronti a difendere Taiwan”, ora è cauto nei confronti della visita della Pelosi: non è una buona idea, non è un buon momento. Con lui c’è anche il Pentagono, che ha sconsigliato il viaggio della speaker della Camera, che ha detto: non so il perché, forse pensano che ci sia il pericolo che l’aereo su cui viaggio venga abbattuto. In realtà, anche sulla belligeranza russa Biden a gennaio sembrava cauto, diceva che bisognava prendere in considerazione “le preoccupazioni” di Putin nei confronti della Nato. Poi ha capito. La visita della Pelosi è già diventato un caso politico: non provochiamo, dicono i democratici e anche buona parte dell’Amministrazione (al Congresso il sostegno a Taiwan è solido e bipartisan). Siete i soliti rammolliti, ribattono i repubblicani, e l’ex segretario alla Difesa Mike Pompeo, uno dei tanti guardiani del trumpismo avvicendatisi al governo, ha lanciato la provocazione, questa sì, assoluta: vengo io con te, Nancy, non posso entrare in Cina “ma nella Taiwan che ama la libertà” sì, “ci vediamo lì”.
Dalle piazze ai palazzi