Un incontro tra Joe Biden e Xi Jinping del 2012. Foto Ansa

il colloquio

Biden e Xi si telefonano ma l'establishment americano della sicurezza è sotto choc

Paola Peduzzi  

Oggi ci sarà la prima conversazione telefonica tra il presidente degli Stati Uniti e quello cinese. Le lezioni ucraine di Pechino sono molto diverse da quelle dell’occidente

Oggi ci sarà la prima conversazione telefonica tra Joe Biden e Xi Jinping dallo scorso marzo e arriva in un momento che Edward Luce, editorialista del Financial Times, definisce così: il momento prima in cui due treni rischiano di scontrarsi – e non c’è un tecnico che scambi i binari per evitare lo schianto. C’è un allarmismo inconsueto, alimentato da alcuni e raffreddato da altri, ma che resta inquietante: l’ultima volta che c’era stata aria di guerra era febbraio, poi la Russia ha invaso l’Ucraina. Con la Cina il problema (uno dei)  è Taiwan, che Washington è disposta a difendere anche militarmente, come ha detto Biden a maggio, e che Pechino considera un territorio cinese, non uno stato autonomo. In particolare, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha pianificato una visita a Taipei, che ancora non è stata confermata ma che è già diventata un precedente: se la Pelosi va, i cinesi già minacciano “conseguenze serie”; se non va, l’America dimostrerà di essersi piegata alla volontà di Pechino. In entrambi i casi, la volontà di Biden di mantenere aperto un canale di comunicazione con la Cina ne esce ridimensionata.
L’establishment della difesa e della sicurezza americana è convinto che la guerra di Putin in Ucraina abbia incoraggiato Pechino a utilizzare toni più belligeranti. 

Questa consapevolezza si è cementata durante il Security Forum di Aspen della settimana scorsa, il “Burning Man della sicurezza”, come lo chiamano non senza enfasi i partecipanti (selezionatissimi). Jeffrey Goldberg, direttore dell’Atlantic, ha conversato (non si chiamano nemmeno panel questi incontri di Aspen) con Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, il quale dice a proposito delle lezioni che la Cina sta imparando dalla guerra russa: “Puoi guardare a quello che la Russia ha fatto in Ucraina, un esercito molto più grande che ne attacca uno ben più piccolo e che non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi,  e dire: ehi, forse dobbiamo rivedere tutta la nostra strategia. Ma puoi anche dire: come possiamo fare meglio della Russia se ci ritroviamo nella stessa situazione?”. Se l’occidente vince in Ucraina, alla Cina passa la voglia di invadere Taiwan?, chiede Goldberg. “Non è mai così semplice, ma penso che questo possa avere un impatto? Sì. E penso che parte dei nostri obiettivi in Ucraina sia mostrare forza, resistenza, stabilità, accortezza perché questo avrà un impatto sulla nostra capacità di deterrenza su altri paesi”.


Julia Ioffe, giornalista americana nata a Mosca che ora scrive su Puck, un nuovo media che ha fondato, era ad Aspen e ha raccontato parole, toni, atteggiamenti dell’ambasciatore cinese a Washington, Qin Gang, ospite del forum. La versione sintetica della Ioffe è: “La performance dell’ambasciatore Qin è caduta come una testata nucleare” sull’incontro e quindi sull’establishment che prende le decisioni strategiche su Pechino. Qin non ha mai fatto un sorriso né una battuta, ha in modo calmo e feroce sviscerato la politica americana nei confronti della Cina. Ha detto che Biden sta “costruendo un nuovo muro di Berlino” e “imponendo conseguenze insostenibili per il mondo”; ha accusato Washington di “manipolazione, disinformazione, menzogne e attacchi malevoli”; ha detto che l’accordo del 4 febbraio scorso tra Pechino e Mosca non è un’alleanza, “mostra che questi due paesi s’oppongono insieme alla mentalità da Guerra fredda”; ha detto che la guerra in Ucraina non è “bianca o nera”, “è una lunga storia”, “bisogna sedersi, calmarsi, negoziare un cessate il fuoco e trovare una via d’uscita da questa situazione”; ha denunciato il “doppio standard” dell’America, che difende l’integrità territoriale dell’Ucraina ma attacca la Cina “insistendo” sul fatto che Taiwan è una nazione a sé. Quando Qin ha citato Lincoln (“una casa divisa contro sé stessa non può reggere”), il pubblico di Aspen ha avuto un mancamento. “Ecco la diplomazia da lupi in piena mostra, con le zanne scoperte e luccicanti sotto il sole di Aspen”, scrive la Ioffe. E con la Pelosi in arrivo a Taiwan.

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