visti dalla Russia

Nel salotto tv dei propagandisti di Mosca si parla di ingerenze su Trump e l'Italia

Micol Flammini

Alla corte del conduttore Solovev si auspica il ritorno dell'ex presidente che ha reso debole l'America e si fanno progetti anche sul nostro paese 

Nei programmi della televisione russa è frequente sentire un dibattito su come fare pressioni sui paesi stranieri, soprattutto occidentali, per avere una classe politica più favorevole a Mosca. Il dibattito si è scatenato dopo le parole di Viktor Orbán. Durante il  discorso in Romania, il leader ungherese non ha soltanto parlato della necessità di non scalfire la purezza della razza europea, ma ha anche detto che se ci fossero  stati Donald Trump a Washington o Angela Merkel a Berlino, la guerra in Ucraina non ci sarebbe stata. Questa è la parte del discorso del premier ungherese a cui Mosca ha dato più peso. Le conclusioni che i propagandisti   negli studi televisivi russi hanno tirato è che la guerra ci sarebbe stata comunque, ma probabilmente con Trump e Merkel le relazioni con l’occidente sarebbero state migliori e  l’Unione europea e gli Stati Uniti non si sarebbero prodigati tanto nell’aiutare l’Ucraina. L’analista politico Henry Sardaryan, nel salotto di  Vladimir Solovev, uno dei propagandisti più accaniti  decorato dal Cremlino con l’Ordine al merito per la patria, ha anche dedicato qualche parola all’Italia. 

 

Sardaryan ha spiegato che la Russia in Italia ha perso l’occasione di lavorare sull’opposizione, sui  media mainstream e sui social e ora sarebbe il momento opportuno per  spingere un suo  candidato. Non fa nomi, parla di un candidato ipotetico, ma afferma che l’Italia è uno dei paesi su cui concentrarsi perché “le circostanze politiche sono ideali: il 54 per cento della popolazione italiana dice: ‘Per favore dividete l’Ucraina, lasciate che smetta di esistere, fate qualsiasi cosa pur di fermare lo scontro con la Russia’”. L’analista politico  lamenta il fatto che non ci sia un leader  che possa articolare per bene queste argomentazioni e dice che bisogna attaccare le vulnerabilità dei paesi disposti a dialogare con la Russia. L’Italia è vista come un paese che ha una popolazione non ostile a Mosca  e che di  vulnerabilità ne mostra molte: “Invece di inviare risorse per contrastarci, facciamo in modo che spendano quelle risorse per risolvere i propri problemi”. 

 

La rete di interferenze non si ferma all’Europa e la grande ossessione rimane sempre l’America, dove i punti di riferimento del Cremlino, le colonne del sostegno, sono due: Donald Trump e Fox news. Solovev ha raccontato che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che definisce un “terrorista internazionale che in qualche modo guida una nazione banderista di nome Ucraina”,  potrebbe inviare un gruppo di sicari negli Stati Uniti per uccidere Tucker Carlson, il conduttore di Fox News e animatore del trumpismo, che è un punto di riferimento importante per i propagandisti di Mosca. Non ci sono prove, ma Solovev dice di essere molto preoccupato per Carlson, perché “gli sciacalli di Zelensky gli daranno la caccia”. Sul ritorno di Donald Trump i russi ripongono speranze importanti per due motivi. Il primo è ideologico: il Cremlino si trova in linea con le crociate contro l’identità di genere. Il secondo e più importante è politico: Trump, che Vladimir Solovev chiama “il nostro ragazzo”, è colui che può indebolire a livello internazionale l’America,  minacciava di uscire  dalla Nato, e potrebbe portare gli Stati Uniti verso la guerra civile. Trump piace perché “stava distruggendo la leadership degli Stati Uniti nel mondo. Ha messo in dubbio la struttura stessa delle relazioni globali” e può aiutare Mosca a riscrivere un nuovo ordine mondiale, con l’America in ritirata, intrappolata nelle proprie liti, la guida di questo mondo, dicono alla corte di Solovev, spetterà alla Russia.

 

In Trump il Cremlino vede la debolezza degli Stati Uniti, in un politico italiano  che urla di non aiutare l’Ucraina e di cedere il Donbas vede le nostre vulnerabilità.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)