le storie
Le nove morti sospette nell'establishment russo dall'inizio della guerra
Chi sono gli oligarchi, gli imprenditori, i funzionari del governo di Putin deceduti da fine gennaio in circostanze ambigue tra colpi di pistola, accoltellamenti e suicidi
"Non riesco a muovermi". Queste le parole che hanno preceduto il ricovero in ospedale di Anatolij Chubais, l'uomo delle privatizzazioni degli anni Novanta, un riformatore che aveva creduto nell'arrivo di Vladimir Putin come un momento di grande cambiamento per la Russia.
Chubais è recentemente scappato da Mosca dopo aver esposto delle opinioni in contrasto con quelle del Cremlino sulla guerra in Ucraina. Nelle ultime settimane era in vacanza in Sardegna. Si tratta di un avvelenamento? In realtà, le ultime analisi fanno pensare alla Guillain-Barré, una sindrome neurologica che avrebbe causato le paralisi temporanee di gambe e braccia dell'uomo. Il malore di Anatolij Chubais ha però riportato alla memoria una serie di morti sospette.
Sono iniziate il 30 gennaio. Da quella data fino a oggi, sono nove le morti di russi, magnati e potenti che sono stati a contatto con Vladimir Putin. Leonid Shulman, Alexander Tyulyakov, Mikhail Watford, Vasily Melnikov, Vladislav Avayev, Sergey Protosenya, Andrei Krukowski, Alexander Subbotin e Yuri Voronov. Tre di loro erano direttamente collegati a Gazprom, la multinazionale del gas controllata dal governo della Federazione. Schulman e Tyulyakov sono morti il 30 gennaio e il 25 febbraio. Il primo, 60enne top manager dell'azienda, si sarebbe suicidato nella vasca da bagno del suo appartamento a Mosca, il secondo, anche lui manager, è stato trovato impiccato nel suo garage di San Pietroburgo, con un biglietto a testimonianza del gesto. Il terzo era Krukowski: gestiva il resort sciistico di Gazprom. Sarebbe morto il 3 maggio cadendo da una scogliera a Sochi.
Avayev era invece ex vicepresidente di Gazprom Bank, che negli anni ha visto svariati cambiamenti nella leadership e che già nel 2014 era finito sotto sanzioni da parte degli Stati Uniti, rinnovate nel febbraio di quest'anno dal presidente Joe Biden. Il magnate delle costruzioni era stato anche consigliere del Cremlino, ed è morto il 18 aprile al quattordicesimo piano del grattacielo in cui viveva. Il suo corpo, insieme a quello della moglie e della figlia tredicenne, è stato trovato dalla figlia maggiore. L'uomo aveva una pistola in mano. Il movente che avrebbe spinto al gesto sarebbe stato un'ipotetica crisi finanziaria, negata, però, da Igor Volobuev, ex vicepresidente di Gazprom Bank.
Altri tre oligarchi del settore degli idrocarburi erano Watford, nato in Ucraina, che è stato trovato impiccato il 3 marzo nella sua villa nel Surrey, in Inghilterra; Protosenya e Subbotin. Sergey Protosenya aveva 433 milioni di patrimonio, era l'ex manager del secondo produttore russo di gas, Novatek. Si sarebbe impiccato nel giardino, dopo aver ucciso nel sonno la moglie e la figlia. “Non so cosa sia successo quella notte ma sono certo che non sia stato mio padre” ha commentato il figlio dopo l'accaduto.
Ancor più sospetta risulta la morte di Alexander Subbotin, ex amministratore delegato di Lukoil, la più grande compagnia petrolifera della Russia. Sarebbe morto tra il 7 e l'8 maggio dopo aver bevuto del veleno di rospo a seguito di una seduta sciamanica in un sobborgo di Mosca.
Vasily Melnikov era invece un manager di MedStorm, una società di forniture mediche che era stata messa in seria crisi dalle sanzioni occidentali. Il 24 marzo è stato trovato morto accoltellato nel suo appartamento insieme alla moglie e ai due figli.
Ultimo della lista è Yuri Voronov, capo della società di logistica Astra-shipping, che aveva stipulato contratti redditizi con Gazprom nell'Artico. È stato ritrovato in una villa a San Pietroburgo, a bordo piscina, ucciso da un colpo alla testa, con una pistola accanto. Nel 2020 la società aveva chiuso con una perdita di 95 milioni di rubli.