il viaggio
Nancy Pelosi è a Taiwan, tra un incrocio di ricatti e rischi
L’aereo della speaker della Camera americana atterra a Taipei. Inizia così la visita che la Cina considera una "provocazione" del governo americano. “Il rischio è una quarta crisi”, dice al Foglio Giulio Pugliese, senior fellow all’Istituto Affari internazionali
Bangkok. Oggi, un’ora prima dell’atterraggio all’aeroporto di Songshan della speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, l’iconico Taipei 101, il grattacielo simbolo della capitale dell’isola di Taiwan, si è illuminato con un messaggio: “Benvenuta. Grazie”. Nancy Pelosi alla fine è atterrata nell’isola che la Repubblica popolare cinese rivendica come proprio territorio il giorno dopo la festa delle Forze armate cinesi, il suo aereo ha volato da Kuala Lumpur a Taipei facendo una deviazione enorme, per evitare il sorvolo del Mar cinese meridionale – un altro pezzo di mondo che la Cina rivendica come suo territorio, e che militarizza da almeno un decennio.
Ad accogliere la speaker della Camera in aeroporto c’erano il ministro degli Esteri taiwanese, Joseph Wu, e Sandra Oudkirk, direttrice dell’American Institute di Taiwan, una specie di ambasciata americana in un territorio non formalmente riconosciuto. Subito dopo la conferma della visita a Taiwan, che fino all’ultimo momento non compariva sull’agenda ufficiale, il ministero degli Esteri di Taipei ha messo a disposizione un live streaming dell’atterraggio: nel cerimoniale diplomatico significa che il governo di Taiwan non sta cercando di mantenere un basso profilo sulla visita di Pelosi, anzi. Per la prima volta dal 1997 (all’epoca fu lo speaker Newt Gingrich) la terza carica in linea di successione del presidente degli Stati Uniti mette piede in uno dei luoghi più complicati per le relazioni internazionali con la Repubblica popolare cinese.
Uno dei messaggi apparsi sul Taipei 101, il noto grattacielo della capitale dell’isola di Taiwan, per salutare l'arrivo di Nancy Pelosi nel paese (Getty Images)
Fino a una decina di anni fa una visita di questo livello avrebbe avuto meno risonanza mediatica ma oggi è tutto diverso: è diversa l’America, ma soprattutto è diversa la Cina di Xi Jinping, che ha sempre più tra le sue priorità l’integrità territoriale, la “riunificazione inevitabile” con Taiwan. L’isola de facto indipendente, però, negli ultimi anni si è allontanata sempre di più dal modello cinese – lo dicono i sondaggi, lo dicono i taiwanesi alle urne – e questo nonostante l’enorme interscambio commerciale con Pechino. Oggi, come prevedibile, la Cina ha reagito in modo scomposto a quella che considera una “provocazione” del governo americano, e non personale di Pelosi. Mentre l’aereo della speaker si avvicinava a Taipei, alcuni caccia dell’aviazione cinese avrebbero attraversato lo Stretto di Taiwan, e l’Esercito popolare di liberazione ha annunciato nel giro di pochi minuti esercitazioni militari attorno all’isola a partire dalla notte di martedì – come “deterrente contro la recente escalation degli Stati Uniti sulla questione di Taiwan” – e poi altre a cominciare dal 4 agosto, cioè non appena la delegazione americana volerà verso la Corea del sud.
Lo stesso era avvenuto durante l’ultima crisi dello Stretto, la terza, quella del 1995-1996. “Il rischio è una quarta crisi”, dice al Foglio Giulio Pugliese, senior fellow all’Istituto Affari internazionali. “Né Biden né Xi Jinping possono mostrarsi troppo remissivi alla vigilia di importanti appuntamenti di politica interna, soprattutto se la leadership di entrambi vacilla a causa dell’economia che rallenta”. La politica Zero Covid in Cina ha fatto molti danni all’economia, e l’inflazione in America mette a rischio le elezioni di midterm di Biden. Parte dell’Amministrazione americana non ha preso bene l’annuncio del viaggio di Pelosi, che è avvenuto negli stessi giorni in cui Biden provava a trattare con Pechino l’alleggerimento dei dazi di epoca trumpiana. “Il governo cinese sente che deve rispondere perché la politica americana ambisce a un crescendo di mosse su Taiwan”, dice Pugliese. “La versione americana della tattica che la Cina usa nel Mar cinese meridionale è quella dell’‘affettare il salame’”, in cui l’opposizione si supera dividendo e conquistando, fetta per fetta, gli avversari.