Le regole di Mosca

La Russia crea la sua comunità internazionale alternativa: terrorista è colui che non si assoggetta

Micol Flammini

Il battaglione Azov designato come organizzazione terroristica, un tribunale per giudicare i militari e i politici ucraini. Il Cremlino mette su un sistema di norme per dimostrare che il nuovo mondo non sarà più a guida occidentale, ma russa 

La Russia sta scrivendo le regole della sua guerra e del suo dopoguerra, il conflitto  è in corso e non ha alcuna intenzione di negoziare per farlo finire, ma si è portata avanti scegliendo di trattare i prigionieri ucraini secondo delle condizioni che valgono soltanto a Mosca. Martedì la Russia  ha designato il battaglione Azov come organizzazione terroristica. Questo non vuol dire soltanto che ogni attività dei combattenti è proibita sul territorio russo, ma che, se catturati, gli uomini del battaglione Azov verranno trattati in modo diverso rispetto ai normali soldati ucraini. Saranno soggetti ad altre leggi, giudicati secondo altri parametri. Per Mosca l’ideologia del battaglione è macchiata di “razzismo biologico estremo”, che suppone piani di segregazione razziale, rifiuto della democrazia, della morale comune e del diritto internazionale. 

 

I combattenti del battaglione sono accusati di attaccare le minoranze etniche e gli oppositori, di essere violenti nei confronti dei russofoni che abitano in Ucraina, di ricorrere alla tortura. La lista delle organizzazioni terroristiche in Russia è lunga e al suo interno c’è anche la fondazione  anticorruzione di Alexei Navalny, l’oppositore di Vladimir Putin mandato in una colonia penale secondo una condanna per cui la pena si allunga, anziché diminuire, di anno in anno. Qualunque movimento o  persona che non piace al Cremlino  rischia di essere equiparato allo Stato islamico.  La decisione di Mosca contro il battaglione Azov ha validità immediata e vuol dire che i combattenti  non saranno più trattati secondo le regole e le tutele riservate ai prigionieri di guerra. Alla fine dell’assedio delle acciaierie Azovstal, che ha segnato la caduta in mano russa della città di Mariupol, le autorità ucraine e russe si erano accordate sulla possibilità di procedere a uno scambio di prigionieri: gli uomini del battaglione Azov che avevano difeso la struttura per ottantadue giorni avevano permesso di rallentare l’avanzata di Mosca nel Donbas, la resistenza dentro alle viscere delle acciaierie aveva una funzione strategica che per Kyiv è stata fondamentale. I combattenti erano stati fatti prigionieri dai russi, gli ucraini si aspettavano di poter procedere a uno scambio, ma da subito Mosca aveva dimostrato di avere altri progetti per gli uomini del battaglione: erano loro i nazisti dai quali la Russia deve liberare l’Ucraina, rimandarli a casa sarebbe stato difficile da spiegare al pubblico russo e ai falchi del Cremlino che suggerivano piuttosto di metterli nelle mani dei separatisti filorussi, pronti a condannarli a morte. Ora che gli uomini del battaglione  sono considerati terroristi non potranno essere scambiati  con i regolari soldati di Mosca.

 

La scorsa settimana cinquanta prigionieri ucraini del campo di detenzione di Olenivka, nell’oblast di Donetsk, sono morti in seguito a un’esplosione. Finora nessun ispettore esterno è potuto entrare nel campo per fare delle indagini e i russi hanno accusato gli ucraini di aver preso di mira Olenivka con i lanciarazzi Himars. I funzionari della sedicente Repubblica popolare di Donetsk hanno anche detto che erano stati i funzionari di Kyiv a insistere affinché i soldati prigionieri fossero sistemati nel campo di Olenivka, lasciando intendere che già avevano premeditato di colpire il centro di detenzione vicino alla linea del fronte. Gli ucraini accusano i russi di aver eliminato i prigionieri per cancellare le prove di torture, non essendoci state delle indagini, per ora hanno fatto delle ipotesi: un’esplosione interna, un bombardamento da parte dei mercenari della Wagner. Tra i prigionieri di Olenivka c’erano anche i membri del battaglione Azov e poche ore prima dell’esplosione l’ambasciatore russo nel Regno Unito aveva twittato che quegli uomini “meritano la pena capitale, ma   per impiccagione e non per fucilazione, perché non sono veri soldati. Meritano una morte umiliante”. Qualche ora dopo, il campo è stato colpito. Qualche giorno dopo, il battaglione Azov è stato designato come un’organizzazione terroristica. Mosca aveva già in mente di rendere le punizioni contro il battaglione Azov esemplari agli occhi dei russi e cercava il modo di farlo da quando è finito l’assedio di Mariupol. 

 

Mosca sta procedendo alla creazione di un tribunale internazionale per giudicare soldati e politici ucraini, lo riconoscerebbero Siria, Iran e Bolivia. Sono già stati accusati 92 militari, alcuni sono anche combattenti stranieri, che i separatisti di Donetsk hanno già condannato a morte. Mosca non aderisce più alle regole internazionali: vuole i suoi tribunali e le sue etichette, ne ha bisogno per legittimare la sua guerra e anche rendere più forte l’idea che sta sfidando il mondo a guida americana, creandone un altro in cui è lei a stabilire le norme. Le regole della comunità internazionale non le riconosce più da tempo, sicuramente non dal 24 febbraio, il giorno in cui ha invaso l’Ucraina. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)