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Xi e Putin sognano un asse autarchico, ma sono i paesi democratici che stanno bene a commerciare tra loro

Giorgio Arfaras

Il bilancio della Russia dipende per oltre la metà delle entrate relative alle materie prime, così l’Europa può mettere in difficoltà il Cremlino uscendo dalla dipendenza energetica. Allo stesso tempo, gli stati occidentali hanno tra loro più scambi commerciali di quanto non lo siano quelli con la Cina

Se si osservano gli andamenti economici solo come variazioni del prodotto nazionale (il pil), si rischia di perdere di vista quanto possiamo apprendere cercando altre informazioni. Queste ultime possono persino essere più importanti. Osservando, per esempio, da un lato il pil russo del 2022, la cui prima stima era di una caduta maggiore, poi inferiore, al dieci per cento, e dall’altro il tasso di inflazione in Europa, la cui stima è di una crescita elevata dei prezzi, frutto soprattutto del maggior costo delle materie prime, a sua volta cresciuto per le tensioni legate alla guerra, si può concludere che, mentre le cose in Russia stanno migliorando, in Europa stanno peggiorando. Da qui la denuncia dello scarso effetto delle sanzioni sulla Russia e dell’alto costo per l’Europa dell’aiuto all’Ucraina. Ciò che porta alcuni a chiedere una tregua nella guerra con l’accettazione di parte delle richieste russe.

 

Invece, se si osserva che l’ottanta per cento del gas russo esportato arriva in Europa, intanto che non c’è modo di trasportarlo in Asia nella stessa quantità per la mancanza di tubature che richiedono anni per essere costruite, e se si osserva che la metà del petrolio russo esportato arriva in Europa, intanto che esso è esportabile in Asia via mare, ma con tempi di trasporto diverse volte maggiori, si hanno delle informazioni importanti. Importanza che emerge quando si mette a confronto la difficoltà russa a uscire dalla dipendenza nella vendita di materie prime non rinnovabili con l’Europa con il bilancio dello stato. Il bilancio dello stato russo dipende, infatti, per oltre la metà delle entrate fiscali dalle materie prime. Ergo, l’Europa può mettere in difficoltà estrema l’autocrazia russa attraverso il bilancio dello stato, se riesce a uscire dalla dipendenza, come quantità acquistate o come prezzi imposti, dalle materie prime di origine russa.

 

Anche nel caso cinese si ha una doppia lettura. Quella di chi si meraviglia del suo tasso di crescita che è stato elevato e costante per decenni. Meraviglia che non tiene prosaicamente conto dell’impatto dell’urbanizzazione in un paese agricolo e della crescita della popolazione in età da lavoro, un fenomeno comune a tutti paesi che si sono sviluppati. Si aggiunge poi l’idea della dipendenza occidentale (Europa, Stati Uniti, Giappone, Corea, Australia) dalla Cina legata al gran peso degli scambi. A osservarli, si scopre però che i paesi occidentali commerciano fra loro diverse volte più di quanto commercino con la Cina. Nel caso tedesco e italiano le esportazioni verso gli altri paesi occidentali sono oltre dieci volte le esportazioni verso la Cina. Se poi si passa allo scambio fra paesi in via di sviluppo e la Cina, abbiamo che questi commerciano con l’occidente quanto commerciano con la Cina.

Mentre nel caso russo si sottovaluta la fragilità della sua economia, troppo legata alle materie prime, nel caso cinese si sopravvaluta la forza della sua economia, come capacità di crescita e come peso negli scambi con i paesi occidentali.

Non abbiamo, insomma, ancora un mondo economico dove le democrazie sono in definitiva decadenza e le autocrazie in inarrestabile ascesa. Abbiamo un mondo dove le prime hanno ancora una forza notevole e le seconde sono ancora fragili. Che cosa accadrebbe se l’affermazione dei paesi autocratici si rivelasse duratura? Avremmo che paesi liberali tornerebbero da dove erano partiti negli anni Ottanta, intorno alle rive del Nord Atlantico, in Giappone, e nell’emisfero australe. Avremmo un ciclo, partito con la vittoria nelle due guerre mondiali (calde), allargatosi con la vittoria nella terza (fredda), che è tornato al punto geografico e politico di prima per l’emergere degli sconfitti (i giganti ex comunisti) e dei loro imitatori (le autocrazie) della terza guerra fredda. Con i vincitori e i vinti delle due guerre calde che continuerebbero a stare dalla stessa parte.
 

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