l'ultimatum di zelensky

Mosca è divisa sui referendum nei territori occupati: anticipare o rimandare

Micol Flammini

Se l'esercito ha conquistato Kherson, Luhansk e parte di Donetsk e Zaporizhzhia, i propagandisti non hanno però ancora convinto la popolazione. Anzi, in alcune oblast è caccia ai collaborazionisti del Cremlino, che vuole organizzare il voto per l'annessione prima della controffensiva di Kyiv

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto che qualsiasi negoziato con Mosca diventerà impossibile  se nei territori occupati dall’esercito russo verranno organizzati  dei referendum per l’annessione. Il voto dovrebbe tenersi a Kherson, interamente in mano russa,  e nella regione di Zaporizhzhia, che per due terzi è occupata da Mosca e dove si trova la centrale nucleare che  i russi usano per lanciare attacchi e  come deposito di armi. In questi giorni la centrale desta molte preoccupazioni perché Mosca e Kyiv si accusano a vicenda di bombardarla. Il Cremlino ha fretta di annettere i territori conquistati, ma non sta rispettando le tempistiche che si era prefisso. Secondo il sito Meduza, Mosca pensava di tenere un referendum nei territori occupati  l’11 settembre, il voto sarebbe stato esteso anche alle oblast di Luhansk e Donetsk, ma mentre la prima è sotto il completo controllo di Mosca, la seconda ancora no: faticosamente i soldati sono arrivati a occupare il 60 per cento del territorio e potrebbero non riuscire a conquistare tutto per i primi di settembre. I dubbi più profondi riguardano però la regione di Kherson, la prima che Mosca è riuscita a conquistare e in cui è cominciata la controffensiva di Kyiv, che ieri è riuscita a colpire ancora una volta il ponte Antonivsky, l’arteria che Mosca utilizza per rifornire le truppe. 

 

Accanto allo sforzo militare, nelle aree occupate, la Russia ha portato avanti anche la missione propagandistica, che però è molto indietro. Il nome proposto per la campagna referendaria è “Insieme alla Russia”, ma secondo alcuni sondaggi, la voglia di stare con Mosca nelle aree di Zaporizhzhia e di Kherson è poca: soltanto il 30 per cento della popolazione rimasta è favorevole all’adesione alla Russia. Una percentuale ritenuta bassa anche per chi a Mosca ritiene che il voto andrà “secondo necessità”, quella di Mosca, ovviamente. I funzionari del Cremlino sono divisi tra chi crede che vada dato più tempo per convincere la popolazione che passare con la Russia è conveniente e chi invece ritiene che il referendum vada fatto il prima possibile, prima che la controffensiva ucraina diventi più spedita. Dopo il referendum, Kherson, come Zaporizhzhia, come le due oblast del Donbas, diventerebbero territorio russo, quindi da difendere come territorio di Mosca da qualsiasi attacco o contrattacco.   

 

La regione di Kherson è stata la prima conquistata da Mosca, che ora cerca di non perderla, mentre gli ucraini riescono a riconquistare villaggi. Sono pochi gli abitanti della regione, in cui è entrato in vigore il rublo e si ascolta la propaganda russa, ma il sostegno per Mosca non si è mai concretizzato. Dai primi di marzo, gli abitanti che non sono riusciti a fuggire hanno protestato e hanno combattuto contro l’amministrazione filorussa che si è insediata dopo l’occupazione. Pavel Slobodchikov, politico locale dalla parte di Mosca entrato nel “Comitato di salvezza nella regione di Kherson per la pace e l’ordine”, un organo formato dai russi, è stato ucciso nei primi giorni dell’occupazione: qualcuno ha sparato raffiche di fucile contro la sua macchina. Nel fine settimana, Vladimir Saldo, sindaco arrivato a Kherson con i russi, è stato portato a Mosca all’Istituto di ricerca Sklifosovsky. Sui media russi qualcuno ha suggerito che si tratta di  Covid o  di esaurimento dovuto al troppo lavoro. Molta confusione per far capire che nessuno vuole dire la verità sullo stato di salute di Saldo mentre  gli ucraini non escludono un tentativo di avvelenamento. Dall’inizio dell’invasione, i pochi abitanti rimasti nella Kherson fantasma cercano di combattere i collaborazionisti di Mosca e anche se il Cremlino non ha intenzione di fare un vero referendum, ma solo un voto di facciata, l’opposizione interna unita alla controffensiva mostrano che la stabilità sarà complessa da raggiungere. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)