Slogan in tribunale
Cappellini rossi e complotti contro l'Fbi. I prossimi passi di Trump
L'ex presidente degli Stati Uniti risponde a colpi di bugie ai guai che sta passando ultimamente: la perquisizione di Mar-a-Lago, l'accusa di reati finanziari e l'inchiesta sull'assalto al Campidoglio del 6 gennaio
Tutto il potere di Trump è stato veicolato dalle menzogne. Fin da quando mentiva sul proprio patrimonio per sembrare un self-made-man di tutto rispetto, passando alla sfacciata dichiarazione – su cui ha basato la sua scalata politica – che Barack Obama non fosse nato negli Stati Uniti, fino ad asserire, vero esempio del manifesting estremo e della black magic bannoniana, che alla sua inaugurazione non ha piovuto. Se si ripete all’infinito una falsità diventa realtà, e c’è sempre qualcuno, per interesse o paranoia o idiozia, che la accetta e la fa diventare una teoria cospirazionista.
L’ultima riguarda i suoi guai con la giustizia, dopo che lunedì gli agenti dell’Fbi si sono presentati nel suo palazzo-club di Mar-a-Lago per recuperare scatoloni di documenti illegittimamente trafugati dalla Casa Bianca. Sulla sua piattaforma, Truth Social, l’ex presidente ha scritto: “Gli agenti non permettono a nessuno, nemmeno ai miei avvocati di avvicinarsi. Hanno chiesto a tutti di andarsene, volevano restare da soli, senza testimoni che potessero vedere cosa facevano, cosa prendevano o, speriamo di no, quali prove abbiano ‘piazzato’”. I seguaci fedelissimi hanno subito invocato la guerra civile, perché Trump ha lasciato intendere che l’operazione della polizia federale fosse parte di una cospirazione del governo e del sistema giudiziario per allontanarlo dall’arena politica. “Non siamo migliori di un paese del terzo mondo, una repubblica delle banane”, ha detto.
Dopo anni di Blue Lives Matter, di difesa incondizionata per gli uomini in divisa, di colpo i poliziotti sono i cattivi. La cosa interessante, in un meccanismo che appare quasi karmico, la legge che ha permesso il blitz a Mar-a-Lago è stata voluta da Trump stesso quando voleva mandare Hillary Clinton in carcere per lo scandalo delle mail – “Lock her up!”, “Mettetela dentro!”, urlava la folla ai comizi elettorali quando veniva nominata.
Ma questo non è l’unico guaio giudiziario della settimana per The Donald. Chiamato dalla procuratrice generale di New York, Letitia “Tish” James, per rispondere all’accusa di eventuali reati finanziari della Trump Organization – documenti falsificati, aumento fraudolento del valore delle proprietà – è rimasto muto, invocando il Quinto emendamento della Costituzione che permette di non rispondere.
L’antifona da serie tv: “Qualsiasi cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale”. Qui la dichiarazione da possibile cospirazione è il ritorno alla caccia alle streghe, il dipingersi come una vittima dei poteri forti, “L’amministrazione in carica e molti procuratori hanno superato ogni limite morale ed etico di decenza”, ha detto Trump. Lo scontro diretto con la procuratrice sembra un film da Oscar: l’ex attivista afro-americana, prima donna a ricoprire quel ruolo, che si scontra con l’uomo di potere, conservatore e misogino. Una di Brooklyn, l’altro del Queens. Sarebbero perfetti interpretati da Queen Latifah e Brendan Gleeson, con la regia di Peter Farrelly: un drama procedural pieno di lezioni morali per il pubblico, su razzismo, potere e legalità.
Ma quale sarà il loro prossimo passo? Trump in realtà è in grande difficoltà in questo momento, seppur i suoi discepoli stiano andando molto bene alle primarie, si sente la pressione della commissione del 6 gennaio, oltre che quella di Fox News che inizia a prendere le distanze e dei quadri del partito repubblicano che vorrebbero liberarsi di lui. L’inchiesta di Tish James fa scricchiolare ancora di più il ramo a cui l’ex presidente è appeso da qualche mese, ma riuscirà a farlo cadere? Lei, accusata da Trump di voler agire con un movente politico è decisa ad andare fino in fondo senza lasciarsi intimidire, ma il suo silenzio non aiuta l’indagine. Se Trump non parla, diventa difficile trovare nuovi elementi, fare dei passi avanti, a meno che non compaiano testimoni pronti a incolparlo.
E intanto, i seguaci col cappellino rosso Make America Great Again, stanno infilando la notizia nella macchina alt-right, più veloci del dipartimento della giustizia, per trasformarla nell’ennesima cospirazione.