decisioni importanti
Chi è la procuratrice dem che potrebbe fare la guerra a The Donald
Letitia James ha interrogato Trump per quattro ore con ben 440 domande. È lei, che dopo aver disintegrato Cuomo, si appresta a capire se portare a processo o meno l'ex presidente degli Stati Uniti
Per quattro ore, mercoledì scorso, la procuratrice generale di New York, Letitia “Tish” James, ha fatto domande all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. E per quattro ore lui si è limitato a ripetere: “Stessa risposta”, la formula con cui intendeva appellarsi al Quinto emendamento, quello che consente a chiunque (imputato o testimone) di non rispondere se ritiene che la risposta, in qualche modo, possa nuocergli. Il teatrino tra James e Trump è andato avanti, sempre uguale, per quattro ore e 440 domande.
La procuratrice democratica, in piena campagna elettorale, reduce dall’aver disintegrato, con accuse poi cadute una a una, la carriera dell’ex governatore Andrew Cuomo, è a un bivio: può decidere di andare avanti e portare Trump a processo (almeno civile) oppure può fermarsi e convincere la Trump Organization a patteggiare. Ma niente trapela per ora.
Secondo il New York Times James sceglierà la seconda opzione, più sicura: “Cercherà un accordo che includa una sanzione finanziaria per il signor Trump e che forse costringa la sua azienda ad adottare modifiche al modo in cui opera”. Ma non è detto. L’inchiesta sulla Trump Organization e su come abbia gonfiato e sgonfiato il suo valore a seconda di cosa più convenisse è ampia, va avanti da tre anni e ha visto interrogati centinaia di testimoni (tra cui i figli di Trump). Di materiale per imbastire un processo ce ne sarebbe. Inoltre il fatto che Trump si sia rifiutato di rispondere potrebbe essere considerato come una tacita ammissione di colpa e, nel sistema americano, soprattutto nelle cause civili, il fatto che qualcuno si appelli al Quinto emendamento può essere considerato come se fosse una specie di autoaccusa, cosa che potrebbe incoraggiare James a affondare il coltello e andare avanti.
D’altra parte, se si decidesse di procedere, il rischio sarebbe enorme, perché entrerebbe in funzione l’intera macchina della propaganda di Trump e dei suoi. L’ex presidente ha già da tempo mosso le sue truppe per parlare di una caccia alle streghe e per dire che l’intera inchiesta di James non è altro che una farneticante costruzione fatta apposta per impedirgli di candidarsi nel 2024. Mercoledì scorso l’ex presidente ha detto di non aver voluto rispondere perché riteneva l’indagine e, ancor più James, completamente faziosi e politicizzati.
Avventurarsi in un processo, per Letitia James, potrebbe essere pericoloso e perfino controproducente. Perché l’intero impianto accusatorio dovrebbe farsi largo tra il frastuono scomposto e ottundente che, da sempre, Trump si porta dietro e che avrebbe gioco facile nel sostenere che la democratica James abbia creato tutta l’inchiesta solo per farsi notare dai suoi elettori. Se Trump venisse condannato partirebbero subito le voci di complotto e di processo politico fatto dai democratici; se Trump venisse assolto, avrebbe guadagnato una micidiale arma di campagna elettorale per il 2024. Per questo James è chiusa nel suo ufficio a decidere cosa fare. Perché ha imparato che Trump non vuole perdere mai. Soprattutto quando rischia di perdere davvero.
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