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L'Fbi a casa di Trump cercava documenti sulle armi nucleari, dice il Washington Post
Lunedì gli agenti hanno lasciato la villa di Mar-a-Lago con 15 scatole di carte che l'ex presidente avrebbe portato via dalla Casa Bianca. Le reazioni dei trumpiani preoccupano il paese: ieri un uomo armato è entrato nella sede dell'agenzia federale a Cincinnati
Si scoprono nuovi indizi sul blitz dell'Fbi di lunedì alla casa di Donald Trump a Mar-a-Lago. Un articolo del Washington Post svela alcuni dettagli sui documenti top secret che i federali stavano cercando. Alcuni di essi conterrebbero informazioni di massima sicurezza in merito alle armi nucleari. Non è chiaro che tipo di informazioni, né se si tratti del nucleare statunitense o di armi appartenenti ad altri paesi, né tantomeno se queste specifiche carte si trovassero nei 15 scatoloni che gli agenti hanno portato via nella notte tra l'8 e il 9 agosto. "Si tratterebbe di materiale riservato ai più alti livelli", ha dichiarato al quotidiano americano David Laufman, ex capo della sezione di intelligence del dipartimento di Giustizia americano.
All'interno delle istituzioni americane, il materiale sul nucleare è particolarmente sensibile: solo un ristrettissimo numero di funzionari governativi ne ha accesso. Per questo la sua possibile divulgazione, se si tratta di armi statunitensi, potrebbe fornire agli avversari internazionali le coordinate di un percorso privilegiato per contrastare i sistemi di intelligence Usa. Se invece si trattasse di dettagli sugli armamenti di altre nazioni, queste ultime potrebbero considerate la rivelazione dei propri segreti di stato come una minaccia.
Il dipartimento di Giustizia ha rifiutato di commentare la specifica natura di questi documenti, ma, fatto estremamente insolito, ha voluto confermare ufficialmente che il procuratore generale Merrick Garland ha autorizzato di persona il mandato di perquisizione. Trump ha invece dichiarato ieri sera di essere d'accordo sul fatto che il mandato venga reso pubblico.
Negli Stati Uniti questa vicenda assume contorni politici. Inizialmente, i repubblicani vicini all'ex presidente avevano ipotizzato che “le persecuzioni giudiziarie ai danni di Donald Trump” gli avrebbero portato ampi consensi, o, come minimo, visibilità. Adesso, però, gli eventi si stanno rivolgendo verso una piega più dannosa. Le reazioni di Trump e quella dei suoi fedeli di partito potrebbero innescare azioni pericolose. E le parole dell'ex presidente sono carburante per possibili derive violente. È successo ieri che, a Cincinnati in Ohio, un uomo armato è entrato nella sede dell'Fbi. L'uomo, di cui le autorità non hanno voluto rivelare l'identità, è stato ucciso. Non si può affermare che l'attacco sia direttamente collegato con l'affaire Trump, ma il Washington Post è risalito a Ricky Shiffer, che secondo un funzionario delle forze dell'ordine, sarebbe indagato per l'ipotesi di legami con gruppi estremisti, tra cui i Proud boys, che hanno contribuito a organizzare l'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Il nome dell'assalitore resta non confermato. È certo però che negli Stati Uniti c'è la massima allerta su una possibile escalation di violenza. Tanto che Garland ha dichiarato: “Sostenere lo stato di diritto significa applicare la legge in modo uniforme senza paura. È quello che sta facendo il dipartimento di Giustizia, sotto il mio controllo”.
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