L'intervista

Sanzioni a Mosca e aiuti a Kyiv, la ricetta per evitare la guerra lunga

Micol Flammini

Oleksii Makeiev, inviato speciale ucraino, dice che ha fiducia negli alleati e nell'Italia e spiega su quali punti bisogna insistere per isolare la Russia, dal sistema finanziario al gas

“L’ultima sirena ha suonato venti minuti fa, e siamo a Kyiv, questo  è il segnale che quello che vuole Mosca non è la pace”. L’ambasciatore Oleksii Makeiev è l’inviato speciale ucraino sulle sanzioni e spiega al Foglio che il suo compito è lavorare in coordinamento con la “coalizione delle sanzioni”, un gruppo di circa quaranta capitali che ha aderito al regime sanzionatorio contro la Federazione russa dopo l’invasione dell’Ucraina. “Diamo consigli su come implementare la pressione sul Cremlino e, al momento, una delle cose su cui bisognerebbe insistere è il settore finanziario. Manca un completo decoupling del sistema finanziario russo da quello mondiale”. Questa settimana sono entrate in vigore le sanzioni sul carbone che prevedono il divieto di importazione di ogni forma di carbone dalla Russia, “bisognerebbe arrivare a un divieto completo  su gas e petrolio”, suggerisce Makeiev, che è d’accordo con la proposta sostenuta da Joe Biden e da Mario Draghi su un tetto al prezzo del gas: “Si tratta di un’idea sostenuta dall’Ucraina sin dall’inizio”.

 

La Russia continua a dire di poter resistere alle sanzioni, ha dichiarato di aver raggiunto il surplus commerciale più alto dal 1994 e in alcuni leader internazionali si insinua il dubbio che le pressioni che l’occidente cerca di esercitare  contro la Russia  si stanno ritorcendo contro di noi. Ma contro quest’idea ci sono le previsioni degli analisti.  “Le sanzioni stanno funzionando e le stime dicono che Mosca subirà un crollo del pil che va dal 10 al 15 per cento. Stanno aumentando la disoccupazione e l’inflazione, mentre diminuisce la produzione industriale.  Anche le riserve finanziarie sono scese. Le multinazionali hanno lasciato la Russia, che è rimasta senza componenti importanti per costruire qualsiasi cosa, bisogna guardare al lungo termine”. Guardando al breve termine invece: “I prezzi del gas aumentano dallo scorso anno e non c’entrano le sanzioni. L’importante però è che alla Russia venga tolta la possibilità di utilizzare l’energia come un’arma. Per quanto riguarda quello che dichiara il Cremlino, noi ucraini non ci crediamo mai: come manipola l’informazione, manipola le statistiche”. Finora l’Unione europea si è dimostrata unita, con l’eccezione dell’Ungheria. I paesi membri hanno condannato l’invasione e  si sono mossi tutti insieme per isolare la  Russia. Ognuno con i suoi tempi. Le istituzioni di Bruxelles hanno iniziato la pausa estiva sapendo che ci saranno decisioni difficili da prendere per affrontare un inverno duro, fronteggiare la crisi energetica e l’inflazione. Preoccupa in modo particolare la reazione tedesca che fatica a rendersi indipendente dall’energia russa, dopo aver  costruito il suo sistema energetico scommettendo sulla stabilità dei  rapporti con Mosca.

 

L’Ucraina e molti paesi dell’est europeo come la Polonia hanno spesso fatto presente a Berlino, già quando la cancelliera era Angela Merkel, che questa dipendenza dai gasdotti di Mosca si sarebbe rivelata pericolosa, ma Berlino anziché diversificare ha deciso di costruire un secondo gasdotto, il Nord Stream 2, e di chiudere progressivamente le centrali nucleari. Sul gas si basa anche il suo piano di transizione energetica. Una Germania più debole, costretta a razionare l’energia,  vuol dire un’Europa più debole e se l’Europa non ha più la forza di reagire  c’è il rischio che i suoi aiuti per l’Ucraina diminuiscano. Makeiev dice che queste paure sono un segnale del fatto che Kyiv va aiutata a vincere al più presto: “Non c’è un posto   in Ucraina che sia sicuro, non c’è un posto in cui possiamo pensare che non saremo raggiunti dai missili russi. Tutto questo andrà avanti fino a quando la Russia non sarà sconfitta. C’è chi ritiene che il conflitto potrebbe andare avanti anche per sempre, e dobbiamo essere pronti al rischio di una guerra lunga fornendo agli ucraini munizioni, ma anche supporto finanziario perché con il  territorio occupato per il 20 per cento dai russi la nostra economia sta soffrendo molto. L’equazione è semplice: quanto più verrà aiutata l’Ucraina tanto prima finirà la guerra”.  A fine luglio, Mosca e Kyiv hanno siglato due accordi separati per garantire lo sblocco del grano fermo nei porti ucraini. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, e il ministro per le Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov, erano tutti e due a Istanbul, ma i due patti sono stati stipulati entrambi con la Turchia sotto l’egida dell’Onu. Quei patti non sono stati un primo passo verso la pace, ma una questione di convenienza per Kyiv, Mosca e anche per Ankara. Pace vuol dire altro: “Tutti gli accordi che la Russia firma, le convenzioni di cui fa parte, li sfrutta per sé. Non si sente mai vincolata. Il nostro presidente Zelensky è stato chiaro: per iniziare un negoziato vogliamo vedere che la Russia lo vuole davvero. C’è un solo modo per dimostrarlo: ritirare le truppe”. 

 

Cambieranno molte cose quest’inverno e in Italia cambierà anche  il governo, con la possibilità che se ne insedi uno meno interessato alla solidarietà nei confronti di Kyiv  e  disposto a riprendere i rapporti con Mosca. “Quello che so”, dice Makeiev, “è che ogni governo di un paese democratico è guidato dai desideri e dalle aspettative della popolazione. Quando vedo gli europei e gli italiani aiutare le nostre mogli e bambini, quando vedo la solidarietà sono sicuro che il messaggio degli elettori ai governi europei sia molto chiaro: l’Italia deve stare con l’Ucraina perché combatte per la libertà e la sicurezza di tutta l’Europa. Sono piuttosto positivo, comunque andranno le elezioni in Italia, o in qualsiasi paese dell’Ue, oggi gli europei stanno con l’Ucraina e il sostegno a Kyiv può essere  usato anche  per vincere i cuori e le menti degli elettori”. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)