Erdogan ha un piano contro la crisi della lira: fare della Turchia un centro economico russo
Ankara sta adottando una politica di equidistanza tra la Russia e l'occidente: da un lato condanna l’invasione di Putin sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina, dall’altro cerca di non pestargli troppo i piedi non aderendo alle sanzioni occidentali e non chiudendo i cieli ai voli che partono da Mosca
Ankara. La Turchia è diventata il paese che più di tutti supporta l’economia russa; funge da ventilatore polmonare per il paese sotto embargo. Gli imprenditori russi acquistano la cittadinanza turca per iniziare una nuova vita e nuovi affari nel paese anatolico: con un investimento di 400 mila dollari, uomini d’affari possono ottenere la nazionalità e aggirare l’inferno delle sanzioni occidentali.
Secondo alcune agenzie private turche di sostegno all’immigrazione quasi il 60 per cento delle case vendute agli stranieri viene acquistato da russi, nel 2021 era meno dell’1 per cento. L’Istituto di statistica turco (Tİük) segnala che 4.900 russi hanno acquistato case in Turchia tra febbraio e giugno 2022, un incremento notevole rispetto agli anni precedenti. La politica di Ankara, lanciata nel 2018, di concedere la cittadinanza a coloro che investono in Turchia era stata molto popolare tra le persone agiate del medio oriente, ma la guerra della Russia contro l’Ucraina ha stimolato una nuova ondata di investitori. Le invalidanti sanzioni internazionali contro Mosca e la crescente repressione del dissenso hanno spinto i russi a cercare opportunità in Turchia, fino a poco tempo fa considerata solo una meta di vacanze. La cittadinanza turca offre loro un percorso per spostare beni, condurre affari più liberamente e riguadagnare la libertà perduta.
Il leader turco Recep Tayyip Erdogan teme, con l’arrivo dell’inverno, un ulteriore aggravamento della crisi economica del suo paese mentre le elezioni presidenziali e parlamentari sono incombenti. In previsione del voto, il presidente turco vuole porre un freno all’aumento del costo dell’energia, soprattutto per uso industriale, per evitare un ulteriore rallentamento della produzione e si aspetta un aiuto prezioso da Mosca in questa fase in cui dovrà affrontare la più critica competizione elettorale della sua carriera politica e chiede al leader russo un accordo per ottenere forniture di gas, da cui dipende per il 45 per cento, a basso costo. Il presidente russo Vladimir Putin appare a Erdogan come un amico affidabile che può salvarlo nelle elezioni del 2023, in cambio si aspetta di essere a sua volta salvato dal devastante embargo con più di 10 mila sanzioni occidentali. L’interesse russo non si limita alle infrastrutture e alle strutture turche con l’ottenimento della cittadinanza perché la Turchia è diventata un hub di transito per le importazioni russe. Le merci destinate alla Russia, provenienti da diverse parti del mondo arrivano prima in Turchia, nei porti di Istanbul, Smirne e Mersin, dove compagnie di container turchi, come Medkon, Akkon, Arkas e Fesco, sono incaricate di effettuare le spedizioni al porto russo di Novorossiysk, dal momento che i giganti globali come Maersk, Hapag Lloyd e Hamburg Süd, hanno cancellato le loro rotte verso la Russia.
Si registra un aumento dei carichi in transito verso Mosca di oltre il 40 per cento, rispetto al periodo pre invasione dell’Ucraina; traffico che avviene non solo via mare, ma anche via terra, aerea e ferroviaria. I magazzini della città portuale di Mersin, quelli di Istanbul e di Smirne sono costantemente pieni di merci fino all’orlo, in attesa di essere spedite in Russia con navi di armatori turchi o con camion provenienti da Mosca. Alcune aziende russe aprono uffici in Turchia entrando in partnership con aziende locali per poi attivare gli scambi commerciali. Dopo aver acquistato immobili nel paese per ottenere la cittadinanza turca, fondano società in loco di import-export con le quali inviare in Russia i prodotti provenienti dall’Unione europea e dall’estremo oriente. L’impresa russa del web Mail.Ru ha in programma di trasferire quasi 2.000 sviluppatori di software nella perla turca del Mediterraneo di Antalya. I grandi marchi commerciali, appartenenti a decine di paesi, tra cui Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud, si sono ritirati dal mercato russo e a beneficiarne però sono le società turche che colmano il vuoto creato dalle imprese occidentali. Il presidente turco è abile nello sfruttare a suo vantaggio ogni crisi che esplode nel suo vicinato e cerca di trarre il massimo beneficio anche dalla guerra tra i due vicini del Mar Nero.
La Turchia, come si sa, sta adottando una politica di equidistanza tra Mosca e occidente. Da un lato condanna l’invasione russa e sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina, aiutandola anche militarmente con l’invio di droni armati e munizioni e chiudendo gli Stretti all’entrata delle navi da guerra nel Mar Nero, e dall’altro cerca di non pestare troppo i piedi a Mosca non aderendo alle sanzioni occidentali e non chiudendo i cieli ai voli russi. Washington non sembra per nulla gradire il flusso degli imprenditori e del denaro russo in Turchia e a giugno ha inviato ad Ankara il vicesegretario al Tesoro Wally Adeyemo che ha esortato le autorità e le imprese turche a non diventare un canale per “finanziamenti illeciti”, ma con la Russia sottoposta al più grande embargo nella storia dell’economia mondiale, Erdogan vede una grande opportunità per alleviare la propria crisi finanziaria e valutaria, che non ha precedenti dal 1998.