Perché l'Arabia Saudita ha condannato una studentessa che usava Twitter
Salma al Shehab si trova in carcere dal gennaio 2021 per aver condiviso contenuti scomodi per Riad. Ora una nuova condanna a 34 anni di reclusione è la più grande mai inflitta a un’attivista per i diritti delle donne nel paese
Salma al Shehab, studentessa saudita di odontoiatria all’Università di Leeds (Inghilterra), è stata condannata a 34 anni di carcere (con conseguente divieto di viaggio per 34 anni) dal tribunale speciale per i terroristi dell'Arabia Saudita. "E' la più grande condanna mai inflitta a un’attivista per i diritti delle donne in Arabia Saudita”, accusa l'organizzazione senza scopo di lucro Freedom Initiative. Gli fa eco l’European Saudi Organisation for Human Rights (ESOHR) che considera la sentenza “pericolosa e senza precedenti”.
L’incubo di al Shehab inizia nel 2021, quando la sua vacanza finisce in prigione. Tornata in patria per trascorrere del tempo insieme al marito e ai due figli (Noah e Adam), il 15 gennaio viene arrestata dalle autorità locali. Trascorre 285 giorni in isolamento prima di essere condannata a 6 anni di carcere con l’accusa di aver utilizzato i social media per “destabilizzare la sicurezza dello stato”.
L’8 agosto 2022 tre giudici hanno emesso la nuova sentenza invocando il regime di antiterrorismo e ordinando anche la confisca del cellulare e la chiusura permanente del suo profilo twitter. Secondo il giornale britannico Guardian, che ha visionato una traduzione della decisione della corte, la condanna draconiana sarebbe stata dovuta a un pubblico ministero che accusa la giovane dottoranda di aver "aiutato coloro che cercano di causare disordini seguendo i loro account Twitter”.
In un duro editoriale che ha contribuito a diffondere la storia, il Washington Post ricorda come la studentessa fosse "colpevole" di aver chiesto su Twitter la libertà per Loujain al Hathloul, un’attivista che si era battuta per il diritto delle donne a guidare (e per questo era stata incarcerata e torturata). Il quotidiano americano fa anche notare che Salma al Shehab ha sempre utilizzato il suo vero nome sui social media, aveva un background pacifico (una sua conoscente l’ha descritta al Guardian come una “appassionata lettrice”), condivideva foto dei suoi figli e aveva un numero basso di followers. “Come avrebbe potuto rappresentare un rischio per la sicurezza?”, si chiede il Post.
Il Guardian ha provato a capire se l’Arabia Saudita eserciti una forte influenza sulla piattaforma social, ma dal quartier generale di San Francisco hanno preferito non rispondere. Intanto, i difensori dei diritti umani continuano a chiedere il rilascio immediato della studentessa. Quanto accaduto “è irrazionale, straziante e disastroso per le centinaia di donne detenute con accuse simili di sostegno alla libertà", attacca - via Twitter - l’attivista Hala al Dosari, premiata da Human Rights Watch. A complicare la situazione per al Shehab c’è anche la sua appartenenza alla minoranza sciita dell'islam, che in Arabia Saudita è spesso vista con sospetto dalle autorità sunnite.
Dopo ormai 579 giorni passati dietro le sbarre per aver condiviso su Twitter dei presunti dissidenti di una monarchia assoluta, ora la studentessa ha ancora un’ultima possibilità: ricorrere in un nuovo appello. Che potrebbe portarla finalmente fuori di prigione, dalla sua famiglia.