Un'altra visita a Taiwan cambia il nostro rapporto con la Cina

Priscilla Ruggiero

Pechino mette sanzioni contro gli "irriducibili separatisti" per "non risolvere i problemi" e Washington cambia lo status quo in difesa di rapporti normalizzati del resto del mondo con Taipei

Dodici giorni dopo la visita a Taipei della speaker della camera Nancy Pelosi e sette  dopo quella della viceministra lituana dei Trasporti, Agne Vaiciukeviciute, domenica è atterrata sull’isola di Taiwan una  delegazione formata da cinque membri del Congresso degli Stati Uniti e guidata dal senatore democratico del Massachusetts Ed Markey. Sono arrivate a quota tre le visite ufficiali (di cui due americane) nella Repubblica di Cina in un solo mese.  E il risultato è che non è cambiato molto. Oltre alle esercitazioni militari – riprese lunedì dalle Forze armate cinesi dopo  qualche giorno di interruzione – la Repubblica popolare cinese risponde con un’arma che per lungo tempo ha criticato: le sanzioni economiche. Dopo quelle contro Nancy Pelosi e  Vaiciukeviciute, ieri Pechino ha imposto sanzioni a sette alti funzionari e legislatori taiwanesi, tra cui l’ambasciatore de facto di Taiwan negli Stati Uniti, Hsiao Bi-khim, il segretario generale del Consiglio di sicurezza nazionale di Taiwan, Wellington Koo, e alcuni  politici del Partito democratico progressista al governo di Taiwan.

 

L’agenzia di stampa statale cinese Xinhua li ha chiamati “irriducibili separatisti” che “per i propri interessi hanno fatto di tutto per colludere con forze esterne in provocazioni a favore dell’indipendenza di Taiwan”. I sette  non potranno visitare  Cina, Hong Kong e Macao, e anche le imprese e gli investitori  collegati non sarebbero autorizzati a trarre profitto nella “madrepatria”. Eppure Pechino ha sempre criticato l’imposizione delle sanzioni da parte della coalizione occidentale: “La Cina non approva le sanzioni per risolvere i problemi”, aveva dichiarato il ministero degli Esteri  pochi giorni dopo l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. 

 

 

Nell’ultimo mese  è cambiato  lo status quo dell’isola di Taiwan, ma non solo da parte cinese (che continuerà probabilmente le sue esercitazioni militari sempre più aggressive). Nonostante la Casa Bianca abbia più volte affermato che la politica degli Stati Uniti di “un’unica Cina” rimane invariata e che le visite sono conformi a tale principio, in questo momento Washington sta lanciando a Pechino un messaggio ben preciso, ed è in difesa di rapporti normalizzati del resto del mondo con Taiwan.