grano a singhiozzo

Le tre criticità dell'accordo che ha sbloccato i porti ucraini

Micol Flammini

Il patto firmato a Istanbul è vitale per l'Ucraina e per il mondo, ma ha dei punti deboli: più mais che grano, navi che partono e non sempre vogliono tornare, carichi di cereali che non arrivano nei paesi in via di sviluppo. Oggi Erdogan è a Kyiv per incontrare Zelensky

Oggi il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, andrà a Kyiv per la prima volta dall’inizio dell’invasione della Russia contro l’Ucraina. Incontrerà il presidente Volodymyr Zelensky e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Dall’attacco di Mosca, Erdogan ha già incontrato il capo del Cremlino Vladimir Putin due volte, Zelensky, che ha ripetutamente ringraziato il leader turco per il sostegno fornito in guerra, ha ricevuto qualche telefonata, ma è rimasto fiducioso nel fatto che Erdogan continui a essere un buon mediatore: sicuramente è uno dei pochi che sa interloquire con Putin. Il presidente turco è il leader internazionale che finora è riuscito a portare più avanti dei colloqui tra le due parti e a lui e all’Onu si deve anche la firma degli accordi sul grano. Non è stata buona volontà, ma calcolo, e Erdogan oggi a Kyiv va a prendersi i meriti. I patti firmati a Istanbul a fine luglio hanno portato allo sblocco dei porti ucraini del Mar Nero e alla possibilità di dare sollievo a una crisi alimentare che era iniziata già durante la pandemia e si è aggravata con la guerra, il grano sta ricominciando a fluire ma le difficoltà, e anche i dubbi, rimangono. 
Il primo carico di cereali è salpato il primo agosto a bordo della Razoni, nave battente bandiera della Sierra Leone, diretta in Libano, un paese colpito da una forte crisi economica. Ma il carico di 26 mila tonnellate di mais era stato rifiutato dal compratore per problemi di ritardi e di qualità. Dopo più di quindici giorni di peregrinazione, la Razoni è arrivata al porto siriano di Tartus. 

 

I problemi principali delle spedizioni sono tre: il carico, la destinazione e l’assicurazione. La maggior parte delle navi che sono partite dai porti ucraini non trasportano grano, ma mais, utilizzato non tanto a scopi alimentari quanto per l’allevamento degli animali e per i bioidrocarburi. Secondo Politico, che ha parlato con chi sta monitorando le esportazioni, nei silos ucraini il grano costituisce soltanto un quarto delle circa 20 milioni di tonnellate bloccate, il resto sono altri cereali. Inoltre le prime consegne di mais sono andate a Regno Unito e Irlanda, mentre l’Italia ha ricevuto soia e semi di girasole e i paesi in via di sviluppo sono ancora in attesa. Questa settimana è finalmente partito il primo carico di aiuti umanitari a bordo di una nave noleggiata dalle Nazioni Unite e diretta in Etiopia con 23 mila tonnellate di cereali: è dal Programma alimentare mondiale dell’Onu che dipenderanno le future consegne ai paesi più in difficoltà come Somalia, Yemen e Sud Sudan. 
L’operazione di sblocco dei porti procede lentamente, ci sono cose da aggiustare  ma già  che avvenga in un territorio in  guerra, con navi che attraversano  acque minate, segna un progresso grandioso. Lo sblocco dei porti ha già contribuito ad abbassare i prezzi alimentari in tutto il mondo, un risultato che influisce in positivo anche sul rischio di una crisi alimentare più estesa. Una delle incognite sul futuro dell’accordo riguarda le navi, non quelle che sono rimaste bloccate nei porti ucraini, ma quelle che dovranno arrivare in futuro per nuovi carichi. Non c’è la certezza che gli armatori decideranno di mandare i loro mercantili con il rischio che una rottura dell’accordo le tenga bloccate ancora per mesi. Il dubbio non vale per le navi che verranno noleggiate dall’Onu e saranno dirette verso paesi in via di sviluppo, ma per i privati. Secondo gli ucraini, per invogliare le imbarcazioni a entrare nei porti di Kyiv e attraversare il Mar Nero la soluzione  è offrire un’assicurazione speciale e regolamentata per la guerra. Per l’economia ucraina è essenziale che  riparta il commercio dei suoi cereali, altrimenti ne risentirebbe tutto il settore agricolo e l’intera economia del paese già disastrata: se i silos con il grano già stipato non verranno svuotati, non potranno essere riempiti con il nuovo raccolto che quindi andrà buttato. L’agricoltura del paese ha già subìto molti danni, alcuni campi sono stati distrutti e altri sono pieni di mine, perdere i proventi del commercio di cereali avrebbe grandi conseguenze sul futuro del paese e l’andamento della guerra.  

 

L’abilità di Erdogan è stata quella di aver saputo organizzare  le convenienze di ciascuna parte e spera di farlo di nuovo, trovando le condizioni per una pace di cui ha bisogno anche la Turchia. Per il momento è chiaro che gli accordi riguardano soltanto il grano e non sono un preludio alla fine della guerra. 
Micol Flammini

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)