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“Rushdie è meno solo. Trent'anni fa nel mondo c'era un solo Rushdie. Oggi ne è piena l'Europa”

Giulio Meotti

Il racconto del sociologo tedesco di origine egiziana Hamed Abdel-Samad, che vive sotto la più stretta sorveglianza della polizia tedesca. Come lui decine di personalità protette in Europa

“‘Quindi sei tu il Rushdie egiziano di cui tutti parlano?’, mi chiese Salman con un sorriso al nostro primo e unico incontro avvenuto a Berlino tre anni fa. Era per una celebrazione del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, in coincidenza con il trentesimo anniversario della fatwa emessa dall’ayatollah Khomeini contro Rushdie. ‘Trent’anni fa c’era un Salman Rushdie nel mondo, oggi c’è almeno un Salman Rushdie in ogni paese islamico, per non parlare di quelli dei paesi occidentali, questo dovrebbe farti piacere’, risposi”. 

   
Si apre così il racconto sulla Neue Zürcher Zeitung di ieri del sociologo tedesco di origine egiziana Hamed Abdel-Samad, che vive sotto la più stretta protezione della polizia tedesca, sorveglianza a 360 gradi e 24 ore su 24, nessuna residenza permanente, spostamenti in veicoli blindati, ufficiali armati. Abdel-Samad è soltanto uno delle decine di personalità protette in Europa per non finire come Salman Rushdie nel centro culturale di Chautauqua a New York. 

   
Come l’avvocato di origine turca Syran Ates, che è protetta da sei agenti a Berlino. “Riceve tremila di minacce”, ha rivelato l’avvocato. Per la sua attività a favore delle donne turche, Ates si era già presa anche una pistolettata (il proiettile per fortuna si è fermato tra la quarta e la quinta vertebra). In Danimarca è sotto protezione Lars Hedegaard, il direttore della International Free Press Society, sopravvissuto miracolosamente a un attentato sotto casa. Un uomo lo ha avvicinato vestito da postino e gli ha sparato alla testa, mancando di un pelo il bersaglio. Una esecuzione in piena regola di fronte alla casa dell’intellettuale in un quartiere borghese di Copenaghen.   

     
La giornalista francese Zineb El Rhazoui ha più guardie del corpo di molti ministri di Macron. “Bisogna uccidere Zineb El Rhazoui per vendicare il Profeta”, recita una fatwa. Oggi la sede di Charlie Hebdo ha sei porte blindate, un sistema a raggi X e una “panic room”, in cui i giornalisti devono entrare in caso di allarme. Come tutti i giornali, Charlie non può permettersi di perdere copie. Ma per un motivo diverso dagli altri. “E’ normale per un giornale di un paese democratico che più di una copia su due venduta in edicola finanzi la sicurezza dei locali in cui i giornalisti lavorano?”, ha chiesto il direttore, “Riss”. Lo stato francese  non protegge i locali, è responsabile esclusivamente della protezione delle persone. Ogni dipendente di Charlie è sempre accompagnato da un’auto con a bordo due poliziotti. E se la minaccia sale, arriva un’altra moto o auto blindata. 

 
Come la sede del Jyllands Posten, il giornale danese che ha pubblicato le prime vignette su Maometto e la cui redazione assomiglia oggi a un bunker militare. Una barriera di filo spinato, sbarre, lastre metalliche e telecamere la circondano per un chilometro ed è protetta dallo stesso meccanismo delle chiuse dei fiumi. Si apre una porta, entra una macchina, la porta si richiude e si apre quella di fronte. L’ex direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val, vive in una casa a Parigi con i vetri antiproiettili, agenti di polizia sempre davanti alla sua porta e una “safe room” in cui c’è una linea telefonica per avvisare i soccorsi. Sotto scorta è Mohammed Sifaoui, giornalista franco-algerino, la sua foto e il suo nome pubblicati sui siti jihadisti accanto alla scritta “apostata” e la minaccia: “Non potrai ritardare la tua ora”.

  
Ci sono la giornalista di Charlie Hebdo Marika Bret, “esfiltrata” di casa qualche mese fa per una minaccia, e Ophélie Meunier, la reporter di “Zone Interdite” che ha filmato in prima serata tv la presa dell’Islam politico a Roubaix assieme al giurista Amine Elbahi, che ha ricevuto minacce di decapitazione. E imam come Hassen Chalghoumi, inserito in “Uclat 2”, il programma di protezione degli ambasciatori di Stati Uniti e Israele a Parigi. Solo in Francia parliamo di cinquanta personalità sotto la protezione della polizia a causa delle minacce islamiche. Come Mila, liceale che ha ricevuto 50mila minacce di morte che ha ricevuto da quando ha “offeso” l’islam sui social. In Olanda sono una decina, come il giurista di origine iraniana Afshin Ellian.  

    
Se continua così la libertà di espressione in Europa sbiadirà fino a che non vedremo più neanche la differenza fra il nostro mondo e il loro, dove chi parla e pensa liberamente finisce sulla forca o, se gli va “meglio” come al blogger liberale saudita Raif Badawi, a frustate.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.