La pista “ucraina”
La rivolta dei reazionari e milioni di uomini armati e arrabbiati. Brutti segnali per Putin
Cosa succede quando la Russia non riesce a vincere. La ricerca del capro espiatorio esterno per l'omicidio di Dugina serve anche a distogliere lo sguardo da un regolamento di conti in corso al Cremlino. Il timore di una resistenza interna. Ora a brontolare sono gli ultranazionalisti. Centinaia di militari si rifiutano di andare in guerra. Echi dal 1917
I video della presunta infiltrata ucraina che avrebbe piazzato una bomba sotto al fuoristrada di Daria Dugina – che arrivano dopo una pausa di 36 ore in cui il Cremlino decideva su chi puntare il dito – hanno un obiettivo preciso: oscurare, agli occhi dei russi, un altro filmato, quello della colonna di fumo che si è levata ieri sopra il ponte Antonivsky, nella regione di Kherson. È stato il primo bersaglio strategico bombardato dagli Himars ucraini, e dopo ripetuti attacchi ad alta precisione il comando di Kyiv afferma che la missione è stata compiuta: almeno un’arcata del ponte, principale arteria di approvvigionamento delle truppe russe che occupano il sud ucraino, sarebbe collassata, rendendolo definitivamente inservibile.
Intanto, i social riportano ogni sera filmati di esplosioni, droni e raffiche della contraerea in Crimea, dove gli allarmi aerei sono diventati un fenomeno quotidiano, e video con le facce spaventate e arrabbiate dei turisti russi in fuga dalle spiagge della penisola occupata. La Russia si è svegliata vulnerabile, e la guerra dagli schermi televisivi ha fatto un passo dentro le case dei russi, il cui senso di sicurezza è svanito in pochi giorni, nonostante la cortina fumogena della propaganda. Il fuoristrada in fiamme della figlia del filosofo che con le sue teorie di “geopolitica” ha ispirato l’estrema destra nazionalista russa fa parte della stessa galleria di immagini.
E non è un caso che i servizi russi abbiano esitato per quasi due giorni prima di accusare dell’omicidio Kyiv: per quanto potesse essere comodo alzare una nuova ondata di odio verso gli ucraini, e scaricare ogni colpa sugli infiltrati, significava anche ammettere una clamorosa falla nella sicurezza russa. Dopo una lunga riflessione, Vladimir Putin ha scelto di alzare i toni dello scontro, e i suoi propagandisti già inneggiano a bombardamenti di Kyiv e avvelenamenti dei responsabili della morte di Dugina. Ma la ricerca del capro espiatorio esterno serve anche a distogliere lo sguardo da un regolamento di conti che è inevitabilmente in corso in queste ore al Cremlino e dintorni, dopo un attentato esplosivo nella zona delle dacie di tutti i ricchi e potenti di Mosca. La pista “ucraina” serve anche a occultare un’eventuale scontro tra clan interni al potere. Ma c’è anche l’ipotesi di una azione sovversiva, e anche se molti esponenti dell’opposizione liberale russa sono estremamente scettici riguardo alla rivendicazione fatta dall’ignoto Esercito nazionale repubblicano, con il quale l’ex deputato della Duma, Ilya Ponomarëv, afferma di essere in contatto su Telegram (forse un piano B dell’Fsb, al quale poi è stata preferita la più classica “pista ucraina”), il timore di una resistenza interna non può non aumentare.
Un timore non del tutto infondato: ogni sfogo di protesta legale e civile è stato proibito, ma i 25 commissariati militari andati a fuoco negli ultimi mesi, e un aumento vertiginoso dei guasti ai binari ferroviari, soprattutto lungo gli itinerari dei treni militari diretti al fronte, non possono essere sfuggiti alla sicurezza russa. Alcune esplosioni sospette di impianti e magazzini militari, anche in zone molto remote dal fronte come l’estremo oriente, non hanno trovato spiegazioni, e Ponomarëv non è l’unico a inneggiare a dei “partigiani” russi. Anche perché a essere scontenti non sono più solo i liberali, in buona parte scappati dal paese: a brontolare sono gli ultranazionalisti come Dugin, che accusano Putin (per quanto possa suonare assurdo) di essere troppo tenero con gli ucraini. Questo mentre centinaia di militari si rifiutano di andare in guerra, e nelle città e nei villaggi russi si stanno registrando i primi reati violenti commessi dai soldati tornati dal fronte, pieni di risentimento e di souvenir esplosivi. E’ stato esattamente questo cocktail – la rivolta dei reazionari contro la monarchia, e milioni di uomini armati e arrabbiati – a risultare fatale a uno zar nel 1917. Come diceva Lenin, quando la Russia non riesce a vincere una guerra imperialista, la guerra civile è alle porte.
L'editoriale dell'elefantino