Settanta euro al mese per fare il medico in Calabria
È lo stipendio che il governo cubano lascia ai suoi medici che manda all'estero. Il resto va all'Avana
Arrivano cinquecento medici cubani, ma un nuovo report spiega dettagliatamente le condizioni di lavoro di questi schiavi moderni
Mentre i medici calabresi protestano per l’arrivo dei colleghi cubani a supporto dell'emergenza, la Fondazione per i diritti umani di New York ha appena pubblicato un rapporto che denuncia l'“affitto” da parte del governo cubano dei propri medici come una forma di schiavitù.
I medici calabresi, per esempio, segnalano che “i medici cubani saranno affiancati dai nostri operatori sanitari. Sì, ma questo lo si può fare a ondate trimestrali, perché le ricordo che i contratti proposti a noi sono della validità di soli tre mesi, spesso anche in libera professione, a differenza dei tre anni di chi viene da Cuba. Ma d'altronde sono loro il fiore all'occhiello. Per tutti noi, dopo tre mesi si vedrà”. Oppure che “per quel che riguarda i concorsi pubblici la maggior parte delle Asst lombarde (e anche Emiliane), ne espletano almeno uno all'anno, in alcune aziende anche due volte l'anno. Se esiste una reale necessità, si fanno i concorsi... semplice! Se prendiamo ad esempio l'Ao Annunziata di Cosenza, l'ultimo concorso in Anestesia è stato fatto molti anni fa (2018), nonostante la cronica carenza del servizio e una pandemia da covid-19”. E i presidenti degli Ordini dei medici e degli odontoiatri della Calabria chiedono “una seria analisi sui motivi per i quali centinaia di medici, pur conservando la residenza in Calabria e l’iscrizione negli Ordini della nostra regione, hanno preferito le opportunità di lavoro offerte in altre regioni”.
Ma questo è il versante italiano del problema. Il rapporto di Human Rights Foundation esamina invece il modo in cui le missioni mediche cubane sono utilizzate “per esportare il marchio ingannevole della diplomazia medica dell'isola e promuovere il mito di Cuba come 'potenza medica mondiale”.
HRW cita il Rapporto sulla tratta di persone (Tip), pubblicato annualmente dal Dipartimento di Stato americano, per ricordare che paesi come Cuba, Afghanistan, Cina, Iran, Corea del Nord, Russia e Siria, tra gli altri, hanno una “politica o modello” di tratta delle persone con programmi finanziati dal governo, lavoro forzato nei servizi medici affiliati al governo, schiavitù sessuale o reclutamento di bambini.
Nel caso di Cuba, organizzazioni intergovernative e governi stranieri hanno denunciato il traffico di esseri umani sponsorizzato dallo stato nelle missioni mediche cubane. Secondo il rapporto dell'Hrf, negli ultimi 59 anni le missioni mediche cubane hanno schierato più di 400.000 operatori sanitari in 164 paesi. Al momento dell'invio, il regime li presenta come “missionari della Rivoluzione cubana”. Attualmente, ci sono tra 34.000 e 50.000 professionisti in più di 60 paesi in Africa, America Latina, Europa e Medio Oriente. Il regime ha approfittato del contesto della pandemia di coronavirus per espandere le sue missioni mediche all'estero. Da marzo 2020, il numero e le dimensioni di queste missioni sono aumentate, inviando oltre 2.770 operatori sanitari in più in 26 paesi.
Nonostante il regime abbia inviato i suoi medici in una presunta dimostrazione di “solidarietà” con la grave crisi che stava attraversando il mondo intero, la realtà è che le missioni mediche gli hanno permesso di sopperire alla perdita di reddito dovuta alla mancanza di turismo per la pandemia. L'intero sistema medico a Cuba è controllato esclusivamente dallo stato. Dall'inizio degli anni 2000, la vendita di servizi di missione medica è diventata la principale fonte di reddito estero dell'isola, generando più di qualsiasi altro settore dell'economia locale. Il rapporto Tip 2021 ha stimato che il regime di Castro raccoglie tra i sei e gli otto miliardi di dollari all'anno attraverso le missioni.
Il regime sfrutta la bassa paga dei medici cubani. Una volta entrato nel programma, il personale “affronta violazioni dei propri diritti alla libertà di associazione, alla libertà di movimento e alla libertà di espressione”. E in caso di rifiuto a partecipare o di mancato rispetto di quanto stabilito dallo stato, i lavoratori devono anche subire forti persecuzioni e minacce da parte delle autorità.
Secondo i contratti di lavoro negoziati dallo Stato, i medici cubani percepiscono tra il 9 e il 25 per cento della retribuzione. Il resto va alle casse della dittatura. Restano dunque in media stipendi tra i 70 e i 75 dollari, cifre che di solito sono al di sotto del salario minimo o della soglia di povertà del paese ospitante. Ad esempio, i medici cubani che lavoravano nella missione Mais Médicos in Brasile ricevevano 400 dollari al mese: il 9,36 per cento di quello che ricevevano.
Quasi la metà degli stipendi dei medici è conservata in un conto bancario cubano a cui i medici non possono accedere se non al loro ritorno a Cuba, dopo aver completato la loro missione. Se i lavoratori “abbandonano” la missione, il regime confisca la parte del salario trattenuta sull'isola. Secondo le testimonianze degli ex partecipanti alle missioni, l'88,4 per cento dei lavoratori ha affermato che “la situazione di estrema povertà” e il loro basso salario hanno influenzato la loro decisione di unirsi alle missioni.
Qualsiasi medico che abbandona una missione è dichiarato "traditore del paese". Oltre a non poter disporre del denaro generato dal proprio lavoro, a queste persone, che per il regime diventano “disertori”, è vietato l'ingresso nell'isola – senza eccezioni – per un periodo di otto anni. In più, i medici cubani non possono esercitare all'estero, poiché lo stato richiede un permesso speciale che il ministero della Salute spesso rifiuta di rilasciare. Le restrizioni si sono inasprite nel 2018, quando il governo ha vietato la legalizzazione di documenti accademici o di altro tipo per gli operatori sanitari che prestano servizio in missione o partecipano a eventi internazionali.
In questo modo, la dittatura cerca di garantire che i medici partecipino solo alle missioni, per poi tornare nel Paese. Come misura aggiuntiva per prevenire le diserzioni, la dittatura rilascia ai lavoratori un passaporto speciale che impedisce loro di viaggiare in luoghi diversi da Cuba e dal paese ospitante assegnato. Infatti, all'arrivo nel Paese, i passaporti vengono trattenuti dai supervisori cubani. Un'altra norma promulgata dal Partito Comunista Cubano stabilisce l'impossibilità per i medici di ottenere la residenza permanente nel Paese ospitante attraverso il matrimonio.