Il buio di Enerhodar

La centrale atomica di Zaporizhzia è rimasta disconnessa dalla rete per ore

Micol Flammini

L’ambasciatrice americana Jenkins dice: Mosca si ritiri e parla di rischi internazionali. La Russia ha i suoi progetti per il sito e vuole usare la minaccia nucleare. Che Putin non farà passi indietro lo dimostra il decreto firmato ieri per ingrandire l'esercito

La corsa notturna di mercoledì per le strade di Mosca della macchina di Vladimir Putin aveva messo in allarme i canali telegram ucraini. Intenti a fare congetture su cosa avesse messo in moto il presidente russo, in molti temevano che  fosse qualcosa di urgentissimo, magari collegato alla centrale nucleare Enerhodar nella regione di Zaporizhzhia, occupata dai russi dai primi giorni di marzo. Cosa abbia mosso Putin nel cuore della notte non si sa, ma ieri dalla Energoatom, l’agenzia ucraina che si occupa di nucleare, è arrivata la notizia che per la prima volta nella storia la struttura è stata disconnessa dalla rete elettrica: le linee che collegano la centrale alla rete elettrica sono quattro, tre sono state danneggiate in precedenza. La centrale è stata ricollegata.

 

Per la disconnessione russi e ucraini si sono accusati a vicenda: un attacco missilistico avrebbe causato un incendio nelle discariche di ceneri della centrale termica che si trova accanto alla centrale nucleare. Enerhodar serve circa un quinto dell’Ucraina e la paura del ricatto nucleare si fonde con quella del ricatto energetico: i russi potrebbero lasciare molte aree della nazione senza elettricità. Il loro piano sarebbe quello di unire la rete a quella russa, costringendo così gli ucraini a pagare l’elettricità a Mosca. Per portare a termine questo progetto una delle condizioni sarebbe quella di danneggiare i collegamenti attuali.

 

Durante un incontro con i giornalisti internazionali, al quale il Foglio ha partecipato,  Bonnie Denise Jenkins, sottosegretario americano per il Controllo degli armamenti e la sicurezza, ha detto che gli Stati Uniti sostengono l’ispezione della centrale, chiesta dagli stessi russi, e ha sottolineato quanto sia pericoloso l’utilizzo di un sito nucleare come arma di guerra, è un evento senza precedenti. I rischi, ha detto Jenkins, non sono soltanto per i territori vicini alla centrale, ma sono internazionali. Gli Stati Uniti chiedono che la Russia si ritiri dalla centrale, ci sono immagini girate all’interno che mostrano armi appoggiate ai reattori, il personale di Enerhodar è costretto a lavorare a contatto con i funzionari di Rosatom, l’agenzia russa per il nucleare, in molti sono scappati, il sito si trova a corto di personale e anche questo è un rischio per la gestione della seconda centrale più grande d’Europa. Mosca spera di utilizzare l’attenzione internazionale per chiudere un accordo che le sia favorevole, come con il grano faceva leva sulla minaccia di una crisi alimentare, con la centrale fa leva su una minaccia che a livello internazionale fa addirittura più paura. 

 

La guerra è entrata in un periodo di stallo, ma  Putin non è disposto a fare passi indietro  e ieri ha firmato un decreto per ampliare il suo esercito.  Se vuole arrivare a  137 mila uomini in più a gennaio potrebbe non essere escluso un reclutamento forzoso.   

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)